Un Inno da cartellino rosso
- di: Barbara Leone
Quando si tratta di esibizioni memorabili, pochi artisti possono vantarsi di aver trasformato l’esecuzione di un Inno nazionale in un evento involontariamente comico. L’impresa, però, è riuscita ad Al Bano. Che l’altra sera prima della finale di Coppa Italia ha regalato al pubblico uno spettacolo tanto imprevisto quanto esilarante. Con una performance a cappella, infatti, l’artista di Cellino San Marco ha stupito tutti, i presenti e quelli incollati alla tv, con effetti speciali stonando come una campana suonata da una capretta tibetana. Del resto cantare in uno stadio, ove l’acustica rimbomba manco fossimo sulle Dolomiti, senza lo straccio di un accompagnamento musicale è di per sé un compito arduo.
Ma, imperterrito, il nostro eroe ha tirato dritto per la sua strada. Infondo il coraggio non gli manca visto che, a dispetto dell’età da pensione, durante i concerti il caro vecchio Al Bano è capace finanche di arrampicarsi sui pali delle luci col rischio di rimetterci le penne, o di sicuro un’anca. E così anche ieri sera ha voluto donare il suo personalissimo tocco d’umorismo e leggerezza lasciando il pubblico letteralmente a bocca aperta, laddove lui sarebbe stato meglio che l’avesse tenuta chiusa, con una esecuzione dell’Inno di Mameli che tutto era fuorché solenne. In pratica, sembrava di stare al karaoke organizzato il venerdì sera dal kebabbaro sotto casa. Una roba a dir poco imbarazzante. Per lui, più che per il pubblico.
Perché a ‘na certa, è meglio appendere il microfono al chiodo. Sia chiaro: è comprensibile che gli artisti abbiano un attaccamento finanche morboso al palcoscenico in virtù dell’amore per la musica e anche in virtù, diciamolo, di un pizzico di narcisismo che li caratterizza un po’ tutti. Ci sta. Anche perché l’abbraccio del pubblico per un artista è un po’ come una droga: non ne possono, e non ne vogliono, fare a meno. Ma proprio per questo, e soprattutto quando si ha alle spalle una fulgida carriera come quella di Al Bano, bisognerebbe evitare come la peste di cadere nel ridicolo. Perché continuare ad esibirsi, per di più a cappella come ha fatto lui, nonostante le evidenti limitazioni vocali dovute all’età si traduce non solo in una presa per il culo, ma anche in una futura memoria distorta del pubblico. Che molto probabilmente un giorno lo ricorderà per le sue stecche da vecchia zampogna sfiatata più che per le sue glorie. Mai come oggi il pubblico è crudele.
E gli spietati commenti sui social alla sua imbarazzante performance ne sono la riprova. Perché andarsi a infilare così nella bocca del leone mettendosi alla mercé di haters e commentatori vari? A volte il coraggio non sta nel perseverare, ma nel concedersi il lusso del silenzio: è lì che per i grandi risuona la musica delle memorie più belle. Forse è il caso che Al Bano (ma non è il solo) trovi il coraggio di ritirare la sua “ei fu” splendida voce dagli applausi forzati, che sotto sotto sono spernacchiamenti, per custodirla come un prezioso ricordo nel cuore dei suoi tantissimi fan. Trovando magari la melodia della serenità nell’abbraccio dei suoi amatissimi ulivi, e lasciando che il palcoscenico si trasformi in un tramonto dorato sulla sua carriera per rimanere, davvero e per sempre, un astro nel firmamento della musica italiana.