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Test di gravidanza al concorso per vigili

 
Tira davvero una brutta aria ultimamente per le lavoratrici italiane in età fertile. Prima la Franchi, quella che assume solo donne dopo gli anta perché hanno già fatto figli. Ora le aspiranti vigilesse che per partecipare a un concorso devono dimostrare di non essere in dolce attesa. Ma veramente fate? Chiedo per un’amica, perché per quanto mi riguarda è da quel dì che ho superato i fatidici anta. Protagonista della discutibile clausola i Comuni di Vigone e Torre Pellice, nel torinese, ove tra i requisiti necessari per diventare dirigente dei vigili figurava, oltre al certificato di idoneità sportiva, anche l’esito negativo di un test di gravidanza eseguito cinque giorni prima. Una richiesta che, ovviamente, ha scatenato un mare di polemiche. Tanto più perché ad esigerla è un ente pubblico, che ha (o dovrebbe avere) tra i suoi compiti anche quello di proteggere i cittadini e le cittadine da discriminazioni. Dettaglio che aggrava di non poco la cosa. Presi in castagna, i responsabili del bando si sono poi giustificati dicendo che l’istanza era volta a tutelare la salute delle donne e dell’eventuale feto in vista della prova fisica, consistente peraltro in una corsetta e nulla più. Prova fondamentale per diventare vice commissario dei vigili urbani, soprattutto in due Comuni che messi insieme contano a stento diecimila abitanti. Che ci sarà da correre mai lì? Pare che richiedere il test di gravidanza negativo sia prassi di molti concorsi, come quelli dell’Aeronautica militare o dell’Accademia navale. Che però non è esattamente la stessa cosa, dal momento che i vigili svolgono ben altre mansioni. Si dirà: ma se poi una donna vince il concorso e dopo pochi mesi si mette in maternità?

Le graduatorie esistono apposta, e si aggira il problema. Che problema non è. Molto semplicemente non si può fare. Punto e stop. Prova ne sia che lo scorso 2021 il Consiglio di Stato è intervenuto sul tema sottolineando l’illegittimità dell’esclusione di una candidata in gravidanza dal concorso per allievi finanzieri (sentenza n. 8578/2021 del 24 dicembre 2021). Dubitiamo, dunque, che sia legittimo pretendere a priori che un’aspirante vigilessa non sia incinta. E lo dimostri, test alla mano. Richiederlo è una delle forme più detestabili della discriminazione contro le donne nel mercato del lavoro. È ancora più invasiva della privacy della classica domanda circa i progetti di maternità. E difatti la clausola è stata prontamente eliminata dal bando. Perché discriminatoria, tutto qua. E sa tanto di trucchetto escogitato per mascherare quello che, evidentemente, gli stessi fautori del bando sanno essere un pregiudizio vergognoso. Perché ricordiamolo: una donna in stato di gravidanza non è malata. E sì, all’occorrenza può anche correre. Basti pensare che anni fa la campionessa americana di nuoto Dana Vollmer ha addirittura gareggiato al sesto mese, ovviamente in accordo col suo ginecologo. E che dire di Lindsay Flach, talento indiscusso dell’eptathlon che si è presentata alle Olimpiadi di Tokyo col pancino rotondo di 18 settimane? O Alysia Montaño, che in dolce attesa ha vinto addirittura gli Open di tennis in Australia. Insomma: di che stiamo a parlà? Del nulla cosmico. Anche perché poi, secondo questa teoria, una donna incinta non dovrebbe nemmeno ramazzare per casa o andare a fare la spesa, cosa che certe volte è pure più faticoso del farsi una corsetta per strada. La verità è che i tempi cambiano, ma i pregiudizi sulle donne restano. Alla faccia della parità di genere e menate varie. Basta farsi un giro per le cooperative sociali che reclutano personale alle aziende varie, dove non di rado viene addirittura richiesto alle candidate se nell’ultimo periodo abbiano avuto o meno rapporti non protetti. Questo è il mondo di chi non ha la poltrona sotto al sedere. Facile indignarsi, ma sempre dopo ovviamente. E a parole. Laddove bisognerebbe scendere dal pero e toccare con mano la realtà che tutti i giorni vive la povera gente, che se donna poi deve ingoiare il doppio dei rospi. E possibilmente tacere. La parità di genere, nella vita reale, la vediamo col cannocchiale noi donne. La strada è ancora lunga, e passa innanzitutto dalla consapevolezza e soprattutto dalla non rassegnazione che tutto questo sia normale. Perché normale non è. 
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