Scuola, genitori quasi sempre contro e non affianco

- di: Barbara Leone
 
“Mi hanno detto di piegarmi. Non lo accetto”. Si è giustificata così la studentessa di Latina che lunedì ha praticamente scatenato una rissa a scuola dopo essersi rifiutata di consegnare il suo cellulare al professore prima dell’inizio della lezione. Richiesta, quella del prof, che faceva seguito ad una circolare del preside emanata alla luce delle disposizioni ministeriali in tema di uso dei telefonini a scuola. In poche parole, per evitare casi di cyberbullismo il dirigente scolastico ha tagliato la testa al toro. Potendolo, peraltro, fare. Del resto negli ultimi tempi sono stati tanti e tali gli episodi di video sgradevoli (per usare un eufemismo) girati e diffusi in rete che non è poi così strano che la scuola decida di porvi rimedio nel più radicale dei modi: vietando i telefonini. Si può esser d’accordo o meno con provvedimento del genere. Ma non si può non esser d’accordo sul fatto che se una scuola fissa delle regole (quelle a cui l’alunna avrebbe dovuto con suo grande disgusto piegarsi) esse debbano essere seguite. E sì: senza fiatare. La fanciulla si è sentita talmente oppressa da una siffatta richiesta che alla fine, telefono in mano, ha chiamato il padre. Che s’è presentato pure col suo socio di lavoro. Qui le tesi sono discordanti.

La scuola oramai ha abdicato al suo ruolo in nome del politicamente corretto

Il preside asserisce d’esser stato aggredito, il padre della ragazza dice l’esatto contrario. Ma non è questo il punto. La cosa insopportabile è che la scuola ha perso completamente la sua autorità, scippatale in primis dai genitori stessi. Che per partito preso difendono questi ragazzi senza sentire ragioni. Qui si tratta di banale, banalissima buona educazione. Anzi, semplicemente di educazione. E’ lei la grande assente, perché questi genitori non sanno educare i loro figli. Stop. Non mi fate dire ai miei tempi, perché non sono trascorsi secoli da quando i miei genitori (e non solo i miei) se poco poco prendevi un 4 o, peggio, mancavi di rispetto ad un professore ti riportava a casa tirandoti per le orecchie. E a casa, ovviamente, ti dava il resto. Altro che nota! Non ai tempi delle guerre puniche, ma nei vicinissimi anni Ottanta/Novanta. E quasi tutti i genitori si comportavano così. I casi di bullismo si contavano sulla punta delle dita, a scuola si entrava con un buongiorno e un per favore. E ci si alzava pure quando arrivava il prof. Cui, manco a dirlo, si dava rigorosamente del lei. Oggi questi ragazzi danno tranquillamente del tu ai loro docenti, manco fossero amici di spritz. E la colpa non è loro. Manco per niente. Perché anche ai nostri giorni se uno vuole può educare un figlio con sano rigore.

Che vuol dire che se il professore ti dice che devi consegnare il cellulare, guarda un po’, tu lo consegni. Fine della storia. Ma poi: che cavolo ci devono fare i ragazzi col telefono a scuola? Mica eravamo alieni noi, che se avevamo mal di pancia andavamo in segreteria e da lì facevamo chiamare la mamma? La triste e drammatica verità è che il lassismo della malapolitica, asservita a teorie neoliberiste imposte da terzi che non dovrebbero avere alcun titolo a metter becco nell’istruzione pubblica, ha trasformato la scuola in un’azienda dove il cliente ha sempre ragione. Genitori e studenti frequentano la scuola con arroganza e prepotenza, certi che in ogni caso la promozione sarà assicurata e il pezzo di carta arriverà dopo una chiacchierata neanche troppo approfondita. E quasi sempre in tutto questo docenti e dirigenti scolastici sono lasciati soli a combattere in prima linea con le armi spuntate delle note e delle sospensioni. Peraltro inutili ed assolutamente prive d’ogni effetto, perché il voto in condotta è da sempre un numeretto che nessuno va a vedere. E sicuramente nessuno lo tiene in considerazione. Anzi, molto spesso la nota e la sospensione indispettiscono alunni e genitori, facendoli quasi sentire in diritto di ribattere e mettere in discussione tutto. Sempre contro, e quasi mai affianco ad una scuola che oramai ha abdicato al suo ruolo in nome del politicamente corretto. Che non si sa bene dove inizia, e dove finisce. 
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