Rocco Siffredi, arriva la serie tv: lo squallore è servito

- di: Barbara Leone
 
Sentivamo proprio la mancanza di una serie tv sulla vita di Rocco Siffredi. Dopo quella (discutibilissima) su Wanna Marchi, Netflix fa il bis. E peggio mi sento. Non un cortometraggio, perché effettivamente sarebbe stato un ossimoro in questione di termini. E pure un oltraggio di lesa maestà a colui che oramai da anni tiene ben saldo in mano lo scettro quale re del porno. Mica pizza e fichi, eh! Nemmeno un film poteva evidentemente bastare per narrar le sue molteplici (più che molteplici), ardimentose ed infuocate gesta. E così ci hanno fatto una serie.  Non una, non due e nemmeno tre. Ma, udite udite, ben sette puntate, che ripercorreranno per filo e per segno la travagliata vita di “Supersex”.E’ infatti questo il titolo della serie che, per allietare tutti (e tutte) uscirà in streaming il prossimo anno addirittura in 190 Paesi. Le riprese dell’attesissima fiction sono iniziate pochi giorni fa fra strombazzamenti vari e urla di giubilo in quel di Ardea, letteralmente paralizzata per l’occasione. Casualità vuole che a pochi chilometri, precisamente a Sperlonga, avevano appena finito di girare un thriller con Pierfrancesco Favino dall’inquietante titolo “L’ultima notte d’amore”.

 Sette puntate, che ripercorreranno per filo e per segno la travagliata vita di “Supersex”

E possiamo solo immaginare gli scongiuri del Roccone nazionale. A svestire, pardon, vestire i panni del famoso pornostar è Alessandro Borghi. Che, poverino, chissà quante prove col metodo Stanislavskij avrà dovuto fare per calarsi nel difficilissimo ruolo. Sperando che non si sia calato altro. Perché Borghi, ricordiamolo, è un attore di fascia alta del cinema italiano, vincitore di un David di Donatello quale miglior attore protagonista, di un Nastro d’argento e di svariati altri riconoscimenti. Insomma, non è certo l’ultimo dei mestieranti. E, infatti, il suo pubblico storico non ha esattamente gradito. A torto, perché la serie promette di non rappresentare Siffredi come lo stallone che tutti, direttamente o indirettamente, conoscono. La fiction parlerà del suo lato umano, sviscerando tematiche importanti ed impegnate, a cominciare proprio dall’amore. Oibò… amore? Faccio fatica, a dir la santa verità, ad accostare la parola amore al re del porno. Ma soprattutto faccio fatica a capire il senso di questa operazione cinematografica.

Anche se, a sentir le parole della sceneggiatrice Francesca Manieri (considerata una delle più grandi writer italiane con alle spalle bellissimi film come “Smetto quando voglio” e “L’immensità”), stiamo parlando di un capolavoro incompreso. “Supersex - ha tenuto a precisare Manieri - è la storia di un uomo che ci mette 7 puntate e 350 minuti a dire ti amo, ad accettare che il demone che ha in corpo (sic!) sia conciliabile con l’amore. Per farlo deve mettere a nudo (sic! sic!) l’unica parte di lui che non abbiamo mai visto: la sua anima. La serie parla di oggi, parla di noi. Cosa vuol dire essere maschi? Siamo ancora capaci di conciliare la sessualità e l’affettività? Queste le domande che come un caleidoscopio si aprono davanti a noi mentre ci immergiamo nella sua incredibile vita fino a perdere il fiato”. Effettivamente detta così ha tutto un altro sapore. Un po’ come quando per far ingoiare la medicina al mio cane la arrotolo in una succulenta fetta di San Daniele, e crepi l’avarizia.

 La domanda è: perché tra i tanti soggetti cinematografici possibili si va a scegliere la vita di Rocco Siffredi?

Ma sempre quella è. Per carità, non mettiamo in dubbio che anche Siffredi abbia avuto una vita carica di gioie, dolori, emozioni, sconfitte e fatiche. Come praticamente gli altri 7,95 miliardi di persone che popolano l’intero pianeta. Ognuno ha la sua storia, che in teoria sarebbe degna d’esser raccontata. La domanda è: perché tra i tanti soggetti cinematografici possibili si va a scegliere la vita di Rocco Siffredi? Seriamente: cosa ha fatto nella vita di così importante da dover essere raccontato? E non vuol dire essere bacchettoni. Ma l’impressione, nitida più che mai, è che qui si stia davvero scivolando sempre più in basso. In una strada senza ritorno verso la mediocrità e lo squallore più totale. Manco a dire che è morto, come la povera Moana Pozzi cui pure anni fa dedicarono una miniserie (mini vuol dire di nemmeno 200 minuti totali, mica sette puntate), peraltro vietata ai minori di 14 anni pur non essendoci scene hard. C’è qualcosa che mi sfugge. Una fiction si fa su Samantha Cristoforetti, su Leonardo Del Vecchio, su Ezio Bosso, Whitney Elizabeth Houston, su Carl Lewis. Vogliamo esagerare? Naomi Campbell, con tutti i se e i ma del caso. Quale esempio si vuole dare raccontando la vita di uno che ha conquistato soldi e fama coi film porno? Qual è il messaggio? Ah sì, le pene d’amore. A buon intenditor…
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