Quel pasticciaccio dell’albero di Natale
- di: Barbara Leone
Se le son cantate a suon di abeti il Comune di Rosello, un paesino in provincia di Chieti che conta sì e no 180 anime, e Agnone, borgo molisano famoso in tutto il mondo per le sue campane. Una vicenda che parte da lontano. E più precisamente da quando, due anni orsono, da Rosello hanno orgogliosamente annunciato che nel 2022 avrebbero donato un secolare abete bianco a Sua Santità per allestire il tradizionale albero di Natale in Piazza San Pietro. Peccato, però, che l’abete in questione stesse di casa nel bosco di Montecastelbarone. Vicino Agnone, appunto. Che col Vaticano ha un’amicizia di lungo corso, dal momento che le campane pontificie che rintoccano ogni Giubileo a San Pietro vengono proprio da lì. Ma, geolocalizzazione a parte, l’impegno frettolosamente preso dal paesino abruzzese non ha tenuto conto di un piccolissimo particolare. E cioè che quell’abete bianco è una specie sottoposta a stretti vincoli di tipo ambientale, ovverosia quelli della direttiva Habitat Cee, e per di più si trova in area Sic (sito di interesse comunitario). Insomma, per fare questo dono erano necessarie tutta una serie di autorizzazioni dalla Regione Molise che, per una volta sia benedetta la notoria lentezza di questa terra, hanno tardato ad arrivare. Quest’abete non s’ha da taglià, ha pontificato (è proprio il caso di dire) Agnone.
Il caso dell'abete bianco fra Abruzzo e Molise
E così è stato. Complice la solerzia di un fotografo naturalista che ha fisicamente battuto tutti i boschi a confine tra Abruzzo e Molise sino a trovare lui: il maestoso abete bianco promesso in dono al Papa. Sì, perché in tutto questo il Comune di Rosello faceva il vago. Sia sulla collocazione extra territoriale dell’albero, che sui vincoli ambientali. Dal canto loro, e come ti sbagli, i molisani dormivano sonni profondi. Se non fosse stato per Dario Rapino, il fotografo di cui sopra, per il pregiato e raro abete non ci sarebbe stato scampo. Zac! Dopo un imbarazzante rimpallo di accuse, carte bollate e pec si è trovata la soluzione: ne verrà tagliato un altro di abete. Non bianco, non secolare e non molisano. Ma abruzzese doc. E così, direttamente da Palena (sempre in provincia di Chieti), Piazza San Pietro avrà il suo albero di Natale. Tutti felici e contenti. E dire che questa bizzarra diatriba poteva essere l’occasione giusta per metter fine ad una tradizione obsoleta e, mai come oggi, decisamente incongrua. Dal momento che si fa un gran bel parlare di ambiente, di amore e rispetto per il pianeta, di sostenibilità e cambiamenti climatici e poi si abbattono alberi per abbellire una piazza (peraltro già abbondantemente bellissima di suo) perché è Natale. Alberi che sono il nostro ossigeno, il nostro respiro.
Il Papa rischia di restare senza albero di Natale
Che sono il pilastro del nostro ecosistema e che, soprattutto, sono esseri viventi. Tagliarli così, per il solo gusto di farlo e in nome di un’usanza è veramente senza senso. Che poi stiamo parlando pure di un’usanza pagana, che non ha niente a che fare con lo spirito religioso di questa festività. E che arriva dal Nord Europa. Dal momento che furono addirittura i Druidi (gli antichi sacerdoti celtici) ad utilizzare il sempreverde abete quale simbolo di forza e vita eterna ben prima del Cristianesimo. Mentre il primo albero di Natale così come lo conosciamo noi fu introdotto in Germania nel 1611 dalla Duchessa di Brieg che, secondo la leggenda, aveva fatto adornare il suo castello per le festività natalizie quando si accorse che un angolo di una delle sale dell’edificio era rimasto completamente vuoto. Per questo, ordinò che un abete del giardino del castello venisse tagliato, trapiantato in un vaso e portato in quella sala. Insomma, se ne potrebbe fare volentieri a meno. O, se non altro, utilizzarne uno finto. Anche se, per la cronaca, anche l’albero sintetico non è certamente il massimo della sostenibilità visto che è fatto di plastica. Ma tant’è, uno sceglie il male minore no?