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La violenza non ha genere

- di: Barbara Leone
 
Il dolore non ha genere. Né tantomeno la violenza. Ma evidentemente non la pensano così gli operatori del Centro antiviolenza di Vicenza, che nei giorni scorsi hanno risposto picche ad un ragazzo che era stato abusato da un suo coetaneo conosciuto online. Il motivo? Perché sei un uomo, hanno risposto facendo spallucce. E  per gli uomini non si può attivare il protocollo del codice rosa. Il che, a livello normativo, ha anche un suo perché. La legge regionale 5 del 2013, varata sulla scia dei casi di femminicidio, contempla infatti solo le violenze sulle donne e prevede che i centri antiviolenza o le strutture protette possano accogliere donne maggiorenni vittime di violenza. E dunque gli operatori veneti hanno, di fatto, semplicemente seguito il protocollo. Che però, ed è questo il busillis, affonda le sue radici su di una dicotomia semplificativa ben lontana dalla realtà. Da una recente ricerca Istat, infatti, è emerso che nel nostro Paese sono quasi quattro milioni gli uomini che hanno subìto abusi sessuali nel corso della loro vita. Il 18,8% del totale: un numero sicuramente inferiore a quello relativo alle donne, ma pur sempre alto.

Il centro antiviolenza di Vicenza ha rifiutato un ragazzo

E nella maggioranza dei casi (non ce ne stupiamo affatto) gli autori di tale molestie sono altri uomini. Numeri che, peraltro, potrebbero anche non essere reali. Perché chissà quanti uomini non denunciano la violenza subìta. E quanti omettono persino di parlarne per paura, vergogna, pregiudizi, tabù e luoghi comuni che vanno poi a braccetto con la fisiologica tendenza tutta maschile di non esternare mai i propri problemi. Perché loro sono il sesso forte, e tale vogliono apparire sempre e comunque. Perché l’uomo è macho, non deve chiedere mai, è virile e menate simili. Uomini che così sono vittime due volte: della violenza fisica, e di quella psicologica. Ovvero di uno stereotipo che non contempla nemmeno lontanamente che anche lui, esattamente come una donna, possa subire un abuso sessuale. E difatti questo povero ragazzo è stato mandato via con tanti saluti e baci. Della serie: arrangiati. Ammesso che gli abbiano creduto. Tutto questo solo perché il protocollo non lo prevede. E no, non è solo un problema del Veneto. Accade così in tutt’Italia. Perché ancor oggi, in barba alla tanto sbandierata parità di genere (che poi è una chimera), nascere donna o uomo fa sì che si diventi, senza averlo scelto, depositari di tutta una serie di modelli, schemi di comportamento e gusti socialmente prestabiliti. C’è poco da illudersi: non si è individui liberi di scegliere. Ma in quanto donna o uomo è già previsto un protocollo, ma questa volta di vita, al quale doversi uniformare.

Forse è arrivato il momento di affrontare questo delicato argomento

E i condizionamenti sono così radicati e subdoli che, anche inconsciamente, non fanno che generare un susseguirsi di aspettative sociali. Col risultato che se si parla di violenza sessuale su di un uomo nessuno, o quasi, lo vede come vittima. Così è se vi pare, diceva Pirandello. Nell’immaginario comune è esattamente così. E la legge di cui sopra non è altro che una fisiologica conseguenza di questa assurda e distorta dicotomia. Forse è arrivato il momento di affrontare senza più tabù e ipocrisie questo delicato argomento. Ed è arrivato il momento di scardinare una volta per tutte la falsa retorica femminista secondo cui le uniche vittime di violenza sessuale e domestica siano solo e soltanto le donne. Così non è. La violenza non ha genere. E siamo proprio noi donne a doverlo gridare più forte che mai. Noi, per troppo tempo maggioranza silenziosa, abbiamo l’obbligo di dar voce e coraggio a questa minoranza ancor più silenziosa. Si fa un gran parlare di eguali diritti per tutti, ma deve valere sempre e comunque. Anche quando l’abito della discriminazione ci sta scomodo. Non possono e non debbono esistere vittime di serie A e di serie B, soprattutto in un’era che a volte, forse con troppo ottimismo, viene ritenuta avanzata.
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