La Cina che ha paura degli stupidi ometti gialli

- di: Barbara Leone
 
La scure della censura cinese s’abbatte senza pietà pure sui Minions, i pupazzetti gialli più famosi del mondo creati da Sergio Pablos: innocui esseri dalla forma vagamente umanoide dotati di una grossa testa ovale, braccia e gambe striminzite, salopette di jeans ed enormi occhiali bianchi. Non brillano d’intelligenza, ed hanno un solo compito nella vita: aiutare il loro boss Gru nelle sue malvagie scorribande. Perché Gru è cattivo, anzi cattivissimo. E difatti l’ultimo film della saga si intitola “Minions 2. Come Gru diventa cattivissimo”. La pellicola è uscita nelle sale italiane lo scorso 18 agosto facendo il boom di incassi. Come nel resto del mondo: ben 640 milioni di euro in pochissimo tempo. Con ritardo il film è sbarcato anche in Cina, dove in soli tre giorni ha incassato quasi 12 milioni di dollari. Nonostante non fosse esattamente l’originale.

Sì, perché le autorità cinesi hanno ben pensato di modificarlo. Ma giusto appena appena. Innanzitutto nella versione cinese il finale è più lungo di un minuto, ma non è tanto questo il problema. Perché Pechino ha voluto addirittura stravolgerne completamente in senso affibbiando al film un happyending studiato ad hoc affinché il bene trionfi sul male. Nella versione cinese, infatti, la scena conclusiva vede il cattivissimo Gru rinunciare alla sua vita criminale e dissoluta per tornare alla normalità e realizzare il suo più grande, inconfessato sogno: quello di fare il papà. Una roba strappalacrime, insomma, che alcuni hanno interpretato come un riferimento alla politica cinese per incoraggiare l’aumento delle nascite in un momento, peraltro, in cui il Partito comunista è alle prese con un enorme calo di nascite. Nella versione originale, invece, il malvagio protagonista, doppiato da Steve Carell, se ne va con il compagno di malefatte Wild Knuckles che ha simulato la sua morte per evitare di essere catturato. Non potendo per ovvi motivi girare scene alternative, le autorità cinesi hanno aggiunto dei cartelli in cui viene detto che “Willy è stato catturato dalla polizia, e ha scontato 20 anni di carcere”.

Mentre Gru “è tornato alla sua famiglia, e il suo più grande successo è essere il padre delle sue tre figlie”. Il dettaglio non è sfuggito agli utenti dei social cinesi, che in un battibaleno lo hanno trasformato in un tema virale con una serie di post e screenshot del film condivisi su Weibo, il Twitter locale. “Siamo solo noi che abbiamo bisogno di una guida e di una cura speciali, per paura che un cartone animato ci possa corrompere”, scrive coraggiosamente DuSir, un sito che pubblica recensioni cinematografiche e può contare su quasi 15 milioni di follower su Weibo. “Un bel cartone animato è stato improvvisamente trasformato in un film di propaganda con tre bambini”, tuonano gli utenti cinesi sui social. Ben consapevoli di rappresentare la fetta più importante del mercato cinematografico mondiale, perché non dimentichiamo che per la sua forza e vastità la Cina può letteralmente decidere le sorti nel bene e nel male di una pellicola. Non è la prima volta, del resto, che la censura del Dragone travolge, e stravolge, le pellicole estere. Basti pensare che nel 2018 Peppa Pig, sì proprio l’amabile e buffa maialina rosa che ha conquistato il cuore dei bambini di mezzo mondo, è stata bandita dai social media in Cina perchè giudicata un’icona sovversiva.

E ce ne vuole di fantasia a reputare sovversiva una maialina che dice “il sole brilla nel cielo, e quando piove accade di colpo, così come di colpo smette”. L’anno scorso, invece, gli spettatori cinesi di “Fight Club”, un cult movie del 1999, si sono dovuti sciroppare un finale all’acqua di rose, laddove nella versione originale il protagonista e il suo alter ego fanno esplodere una serie di grattacieli. Troppa violenza, hanno pensato le autorità cinesi. E così hanno stravolto la sceneggiatura appioppando alla polizia un acume esagerato visto che in un nanosecondo i poliziotti hanno capito il piano criminale e arrestato tutti i delinquenti impedendo con successo le esplosioni a catena. Per non parlare di “Bohemian Rhapsody”, la biografia di Freddie Mercury che valse l’Oscar a Rami Malek e che in Cina fu letteralmente epurata di ogni riferimento all’omosessualità del mitico frontman dei Queen. Ma di esempi ce ne sarebbero tantissimi e la dicono lunga sulla propaganda cinese che, quando tutto manca, se la prende finanche con degli stupidi, insignificanti ometti gialli.
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