Kevin Spacey assolto: me too? Not now

- di: Barbara Bizzarri
 
La terribile vicenda di Kevin Spacey è paradigmatica di quanto una ideologia becera e criminale possa distruggere una vita, come accaduto prima di lui a Michael Jackson e Woody Allen, tanto per citarne altri due triturati dalla pubblica gogna e dalla fame di soldi e vendetta che afferra i vorrei-ma-non-posso in una morsa livorosa e infernale. Chissà perché, queste accuse colpiscono soprattutto personaggi di talento inarrivabile per la maggior parte dei comuni mortali, e quasi sempre da parte di chi vorrebbe essere nei loro panni: uno dei principali accusatori di Jackson, alla notizia della sua morte, si è suicidato. Ora, è pur vero che non si è nati ieri e che il sofà dei produttori su cui è sorta fior di letteratura mica lo abbiamo inventato noi, però una parte di certe storiacce si rivela quasi sempre scritta sulla pelle di innocenti. Kevin Spacey, attore dal talento sconfinato, nel 2017 era in piena staritudine: a contrastarne l’ascesa roboante arrivò lo sconosciuto Anthony Rapp, che rivela in un’intervista a Buzzfeed di essere stato molestato da Spacey nel 1986, quando era uno sprovveduto attore quattordicenne di Broadway e di tormentarsi da allora nel ricordo (e che ricordo: durante una festa, Spacey si chiude in una stanza con il ragazzino e gli si sdraia sopra, vestito e sbronzo. That’s it) finché, evidentemente, l’idea di spillare soldi al collega premio Oscar gli ha offerto un immediato sollievo. Il tizio accusa Spacey anche di aver mentito perché non aveva ancora dichiarato pubblicamente la sua omosessualità: l’idea che si debba dare spiegazioni sul proprio orientamento sessuale, almeno finché si tratta di adulti consenzienti è un’altra follia di questa epoca di pazzi, e tra mentire e tacere c’è una differenza abissale, ma ormai vige la convinzione malata che si debba illustrare a chiunque fatti che sono assolutamente propri. Fatto sta che la denuncia di Rapp con annessa pretesa di 40 milioni di dollari di danni scatena, curiosamente, un effetto domino perché le sue dichiarazioni fanno tornare la memoria a una trentina di individui che si ricordano di aver subìto molestie, con successiva gragnuola di richieste di risarcimenti. 

Kevin Spacey assolto dall’accusa di molestie sessuali

Vittima perfetta di una baracconata da sciacalli, Kevin Spacey, gay e con una storia familiare difficile, non aveva neanche fatto in tempo a capire cosa fosse accaduto, che già era stato scaricato in blocco, da House of Cards in cui troneggiava, ai film girati per Ridley Scott e Netflix: il primo lo sostituisce, più veloce della luce, con Christopher Plummer, e il secondo inguatta il film in cui interpreta Gore Vidal, privandoci della gioia di vederlo recitare, perdita con cui dobbiamo venire a patti da cinque anni in cui lui entra ed esce dai tribunali e durante i quali gli hanno sottratto pure la direzione dell’Old Vic Theatre londinese e 31 milioni di dollari per risarcire i produttori di una serie tv orripilante che senza di lui è defunta. Tutto ciò, a discapito della solidarietà, e soprattutto della logica più elementare. Ovviamente esiste caso e caso, ma la presunzione di innocenza fino a prova contraria è una delle basi del diritto e non dovrebbe bastare che una nullità qualsiasi possa svegliarsi una mattina e decidere impunemente di rovinare la vita di chiunque per i motivi più sordidi, per considerare un processo già concluso come invece si tende a fare mediaticamente tanto per avere qualcosa di cui (s)parlare, senza un confronto, senza prove e soprattutto senza senso visto che quasi sempre chi accusa non è mai il fine ultimo dell’universo, quanto piuttosto un miserabile in cerca di fortuna che sa di contare sull’idiozia diffusa di chi non desidera altro che stracciarsi le vesti a comando. Che si trattasse di un bluff spremisoldi è stato evidente anche per la giuria che, a New York, in meno di due ore ha prosciolto Spacey da ogni accusa: addirittura, sembra che le prove accumulate dimostrino il contrario, e che la festa dello scandalo fosse un’invenzione di Rapp piuttosto simile a una commedia - sfacciato, almeno fosse stata una tragedia - che aveva interpretato quello stesso anno. 

Ma come sa bene chi ci è passato, da queste esperienze non si esce indenni. Dalla vergogna di certe condanne morali, soprattutto se ingiuste, dall’agonia di assurde vie crucis giudiziarie non si guarisce e non si resuscita perché quando si sperimenta la morte civile, quella morte è per sempre. Anche se riabilitato, Spacey non potrà mai essere quello di prima: chi scrive lo ricorda ancora quando venne a Roma, pochi anni fa, per declamare “Il pugile” di Gabriele Tinti a Palazzo Massimo, il sorriso incerto, nello sguardo il peso della condanna inesistente ma già emessa da chi lo aveva annientato. Il suo accusatore, al termine dell’udienza che lo ha visto sconfitto eppure ancora testardamente alla ricerca di riflettori, ha scritto su Twitter, “Ho fatto tutto questo con l'intento di accendere una luce, come parte di un movimento più grande che si batte contro le violenze sessuali” che nel suo caso, a quanto afferma il tribunale, erano completamente inventate. Ecco il risultato finale di certi movimenti ipocriti come il metoo, messi in piedi da buoni a nulla ma capaci di tutto, che quando non c’è stato più nulla da mungere hanno gridato alla violenza: andatelo a dire a chi è stato violentato davvero, ai danneggiati da chi fa dello stupro un mezzo di propaganda pro domo sua quando non ha altro da offrire e la concorrenza è spietata perché c’è sempre qualcuno più bello, giovane, e magari pure più talentuoso, in ogni accezione del termine. Tutte le frignanti del metoo erano ben abbarbicate al collo di Weinstein, l’”orco” onnipotente, quando contava qualcosa, dall’intoccabile Streep, che lo definì un dio, e del resto, doveva l’Oscar vinto nel 2012 all’incessante lobbying del produttore, fino a Asia Argento, a Rose McGowan, a Hillary Clinton, alla lamentosa Rula che quando parla in Italia è dura e pura, però si rivela di tutt’altra pasta oltreoceano. Che poi il tizio fosse ad alta gradazione suina, era acclarato e con il beneplacito di tutti: con un tipo simile è fin troppo facile passare da complici a vittime, però da questo a essere vittime veramente ce ne corre, dato che erano tutte da lui in pellegrinaggio a baciargli la pantofola, quando serviva. Adesso che giustizia (non) è stata fatta perché questa pantomima non doveva neanche cominciare, ci si chiede quanto ci vorrà perché chi di dovere porga lunghe e circostanziate scuse a Kevin Spacey, e quando gli saranno restituiti almeno la sua arte e i ruoli che ha perso in cinque anni, alla faccia della pletora cialtrona che più che accendere luci, rosicchia dal suo buio quelle di chi vuole distruggere. 
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