Vorrei...ma non posso: viaggio a puntate sul filo dello skill mismatch, dove domanda e offerta proprio non si incontrano.

- di: Claudio Ramoni
 
Inchiesta di Italia Informa sul mercato del lavoro e sulle nuove professioni emergenti in Italia

Due anni di pandemia hanno messo a dura prova il tessuto economico e sociale dell’Italia, una crisi profonda che non ha fatto sconti ad imprese e lavoratori, con migliaia di aziende costrette a chiudere e personale in cassa integrazione. Tuttavia, nonostante l’ulteriore colpo assestato all’economia a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia lo scorso mese di febbraio, dall’analisi del mercato del lavoro ad inizio 2022 emerge una fotografia in controtendenza rispetto a quanto si potrebbe erroneamente ritenere. Nel nostro Paese la domanda di lavoro tiene, anzi scatta addirittura in avanti, con una crescita in doppia cifra. Sono infatti circa 360 mila i lavoratori ricercati dalle imprese lo scorso mese di marzo, ben 41 mila in più (il +13%) rispetto a febbraio e 67 mila in più (+22,9%) rispetto ad un anno fa.

Come ben evidenziato dal Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, le imprese hanno difficoltà di reperimento delle risorse umane. Numeri alla mano, ad oggi manca all’appello il 41% dei profili ricercati, in aumento di quasi 9 punti percentuali rispetto a marzo 2021, quando il 32% delle figure ricercate erano introvabili o con un profilo professionale non adeguato. Tiene ancora il manifatturiero, seguito dalle industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo, dalle industrie alimentari, di bevande e tabacco. Si mantiene elevata anche la domanda di lavoro proveniente dal comparto delle costruzioni, ma anche le opportunità di lavoro offerte da servizi di alloggio, ristorazione e turistici.

Le figure di più difficile reperimento sono i tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (67%), gli artigiani e gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (67%), ma anche i tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni (61%), i meccanici artigianali, i montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili (61%). Particolarmente significativo, e non potrebbe essere altrimenti visti i due anni caratterizzati dalla lotta al Covid, il dato relativo ai medici (64%), così come quello relativo ai professori di scuola primaria (63%).

Ad incontrare le maggiori difficoltà di reperimento sono le imprese delle regioni del Nord Est (difficile da reperire il 46,9% delle figure ricercate), seguite da quelle del Nord Ovest (41,2%), Sud e Isole (38,6%) e Centro (36,6%).
Queste percentuali, tuttavia, stridono rispetto al poco invidiabile primato che il nostro Paese detiene a livello europeo, ovvero quello relativo al fenomeno NEET, acronimo derivante dall’espressione inglese “Not in Education, Employment or Training”, riferito a tutti quei giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in alcun corso formativo. 

Secondo gli ultimi dati Istat, solo nel 2020 il fenomeno NEET ha colpito in Italia più di 2 milioni di ragazzi, rendendolo il Paese con la più alta incidenza in Europa (con circa 1 giovane su 3 in questa condizione). Numeri confermati anche dalla Commissione Europea, che relativamente al ‘caso Italia’ rileva un 23,3% dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni che non studia e non lavora.

A fronte di questa fascia di giovani fuori dal mercato del lavoro, un’altra fetta non trascurabile – molto spesso laureata – decide di abbandonare l’Italia per cercare condizioni professionali migliori all’estero, anche in considerazione della situazione di mancato ricambio generazionale nelle aziende e nella Pubblica Amministrazione, che solamente negli ultimi mesi, dopo anni di concorsi bloccati, ha rimesso lentamente in moto la macchina delle assunzioni. Ancora l’Istat ricorda come la metà dei giovani che lascia il Bel Paese abbia una laurea o un titolo superiore, come un master. La gran parte proviene dal Nord Italia. Non è un caso che le prime tre province italiane che vedono i giovani scegliere un lavoro fuori dai confini nazionali sono Bolzano, Vicenza e Mantova. Secondo Eurostat, ogni anno in Italia solo una persona su 1.000 nella fascia di età 25-34 anni completa un programma di dottorato, contro una media UE di 1,5 (con la Germania addirittura a 2,1). In aggiunta, quasi il 20 per cento di coloro che hanno conseguito un dottorato in Italia ogni anno si trasferisce all’estero. A fronte di questo esodo di capitale umano qualificato, le imprese italiane lamentano una difficoltà di reclutamento, a testimonianza del fenomeno di “skill mismatch” tra istruzione e domanda di lavoro.

Anche a fronte di una preparazione universitaria robusta, dunque, l’Italia paga da sempre uno scollamento tra università e mondo del lavoro, uno scarto tanto più accentuato quanto più corre l’innovazione tecnologica. Il gap è più marcato soprattutto nel comparto digitale: a livello di competenze ‘basic’, le difficoltà di reperimento si attestano al 35%, percentuale che sfiora il 40% per competenze più evolute che richiedono un livello matematico-informatico più elevato. Tra le professioni che più di altre soffrono la carenza di figure professionali adeguate spicca il ‘chief digital officer,’ che si occupa del processo di trasformazione digitale delle aziende, facendo da ‘ponte’, grazie ai canali digitali, tra i vari reparti di un’azienda, dalle risorse umane all’amministrazione, dalle vendite all’IT, ma anche il ‘cloud architect’, che si occupa della creazione dei sistemi in cui vengono immagazzinati i dati delle aziende. Quest’ultima è una delle figure in maggiore ascesa, anche perché permette all’azienda di sganciarsi da società esterne, assicurandosi una gestione ‘in house’ dei dati sensibili. Sempre in tema di tutela dei dati aziendali sta prendendo sempre più piede il ‘cyber manager security’, deputato a difendere l’azienda ed i suoi dati da attacchi hacker o dal furto per via telematica di informazioni sensibili. Nell’ambito dell’ICT, i profili più ricercati si confermano quelli di Sviluppatore, Sistemista ed Help Desk, specialisti in ambito big data, artificial intelligence, Data Scientist, Data Analyst, BI Consultant.
Nell’immediato futuro, anche a seguito di misure adottate per rilanciare l’economia su scala nazionale ed europea, i riflettori sono puntati sui nuovi bandi del PNRR, che mettono sul piatto miliardi di euro per impiegare decine di migliaia di nuove risorse, principalmente nei settori della scuola e della sanità.

L’apprendimento di nuove competenze (reskilling) ed il miglioramento di quelle esistenti per accedere a mansioni più avanzate (upskilling) sono fondamentali per sostenere in primo luogo le transizioni verde e digitale, potenziare l'innovazione e il potenziale di crescita dell’economia, promuovere l’inclusione economica e sociale e garantire occupazione di qualità. Il PNRR punta pertanto a migliorare le competenze digitali e professionali attraverso investimenti in istruzione e formazione. Secondo gli obiettivi della Commissione, entro il 2025, almeno il 70 per cento dei cittadini UE nella fascia di età 16-74 dovrà possedere conoscenze digitali di base. Il futuro, ancora una volta, passa dalla rete.
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