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I cannibali

- di: Barbara Bizzarri
 
È tempo di fiabe, di cui tanto si parla: e quindi anche io, da brava cronista, ve ne racconterò una. Vi racconterò la storia di una ragazza che voleva fare l’attrice senza avere troppo talento e quindi aveva ripiegato scrivendo con molto acume su un blog regalato da un amico per il compleanno. Dal palcoscenico alla tastiera, poi, l’esordio con un libro, pubblicato addirittura da un noto editore, con un simpatico titolo ironico che dava la misura dell’incorruttibilità dell’autrice. Protagonista maschile della nostra storia vintage, data la mancanza di fluidità, è invece un aspirante musicista che non si filava nessuno. È molto dura quando si vuole essere artisti senza averne la stoffa: un aspetto che accomuna i nostri eroi, e così il tapino, per indurre qualcuno a notarlo, scriveva sui social post del genere: “quando mi annoio vado in giardino (probabilmente un balcone con vista Quarto Oggiaro, ma non  divaghiamo), mi ricopro di terra e fingo di essere…”, nominando nell’ordine una delle prime persone a optare per l’eutanasia in Italia e poi ancora, non pago, credendo di aver partorito una genialata, rilanciava sostituendo al nome dell’uomo quello della giovanissima vittima di un efferato delitto familiare dai contorni oscuri. Chissà se adesso, per come sono andate le cose, va in giardino e si sdraia sotto un mucchio di terra sentendosi una povera ristoratrice di provincia, cui nessuno purtroppo ha spiegato che a certi personaggi si dovrebbe ridere in faccia oppure, essendo molto educati, dare il credito che meritano. Ovvero, meno di zero. 

Ma continuiamo, perché la fiaba è lunga. Quando i nostri protagonisti si incontrano, le preghiere di lei sono finalmente state esaudite, perché da squattrinata wannabe di provincia, arrivata nella grande città, Roma prima e Milano poi, ha cominciato a muoversi nel mondo della comunicazione grazie anche ad alcuni fidanzati ben introdotti nel giro, tra cui uno che ancora rimpiange quando lei si presentava a casa sua per preparargli il caffè, il che è comprensibile, data la penuria di colf: bei tempi. Lui, invece, poverino, continua a sognare, finché l’incontro della vita gli spalanca un’alternativa meno seducente ma più solida: con l’arte non si campa, ma forse in un paese funestato da programmi di cucina, se volesse reinventarsi come cuoco, le cose potrebbero andare meglio. Ed ecco fatto: con un tocco di magia, indispensabile in ogni favola che si rispetti, l’ex sognatore musicista si ritrova in una trasmissione tv, e che combinazione, proprio sullo stesso canale dove la sua dolce metà ex aspirante attrice dà i voti in uno show di ballo. E perché, diranno i miei piccoli lettori: voleva fare anche la ballerina? No: è lì per grazia ricevuta, ma è giusto che sia così nella landa in cui chi non ha strumenti né meriti, invece di spettegolare al bar, decide di scoprire la verità che si annida fra le grasse pieghe delle recensioni dei locali e scovare i ristoratori brutti e cattivi che, sulla base di semplici sospetti, si danno i voti da soli o cercano pubblicità: è bene colpirne uno per educarne cento, perché si inizia così e poi magari chissà, un giorno potremmo ritrovarci certi corrotti al governo, magari per obbligarci ad assumere farmaci e a non poter lavorare in caso di rifiuto. Dite che invece, ristoratori al governo a parte, è già successo e che gli autonominati ‘ricercatori di verità’ se ne sono guardati bene dall’andare a indagare, anzi hanno cambiato casacca in corsa? In effetti, è andata esattamente così. Il nazifascismo va bene, soltanto se arriva dalla parte giusta, però. 

Un po’ come l’amore di verità, che va bene se colpisce persone tutto sommato innocue, magari con pochi mezzi e ancora meno dimestichezza delle gabbie aperte di ecoiana memoria. Si agisce agitando piccoli spettri “per amore di verità” ripetono: lo stesso che ha indotto la coppia, diventata famosa e importante proprio come desideravano, a sbattere online il sextape di una nota showgirl: del resto, che verità di vita sarebbe, senza sapere cosa e come lo fa e con chi. Mica male per chi si reinventa paladino del progressismo e sostiene di essere dalla parte delle donne, ma forse la sventurata non faceva parte del novero delle elette, anzi, aveva pure il torto di avere un figlio brutto (ipsa dixit) manco la controparte avesse generato un bronzo di Riace ma, insomma, ogni scarrafone è bello a mamma sua. 

Quindi, per amore della verità che va tutta da una parte per non rischiare di perdere la corsa, vale anche affossare carriere evidenziando personaggi senza scrupoli (chi si somiglia si piglia) che per vendetta non esitano, mentendo, a distruggere la vita di chiunque sapendo di essere sempre con le spalle coperte, almeno finché continueranno a fare da megafono e senza assolutamente prendere iniziative personali perché, quando non sono consone, per esempio strafogarsi di involtini primavera, si viene subito richiamati all’ordine. È così che funziona nel Paese di Molto, Troppo Vicino, una landa amena dove si permette che a formare il pensiero e gli atti delle persone sia una coppia finto giustiziera formata da un cuoco e una blogger che interpretano i Bronson de' noantri cercando la verità fra persone comuni (sapendo già di poterle distruggere, data la disparità di mezzi e strumenti), e non dove sanno fin troppo bene che è annidata, altrimenti addio a privilegi e ospitate in tv.  Questa storia non ha una morale, come i suoi protagonisti, soltanto un avvertimento: di certi giustizieri di cartapesta, come si dice lietamente nella Capitale, il più pulito c’ha la rogna. Che loro sfruttino la situazione per farsi notare e poi prevedere magari, quando ci saranno solo macerie, una fuga alle Cayman è persino tipico della (peggiore) natura umana, ma ci sarebbe parecchio da riflettere su chi, scientemente, li ha elevati a maître à penser, sapendo che, in realtà e al netto di tante chiacchiere, non potrebbero trovarsi autonomamente l’ombelico con le mani: neppure se lo volessero. 
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