Il neo pauperismo di Grillo: inseriamo gli insetti nei menù delle scuole
- di: Barbara Bizzarri
Ci riprovano a scadenze regolari e insistono, da anni: non c’è niente da fare. Ma noi a tavola siamo abituati troppo bene, e l’idea proprio non ci va giù, neanche con un fiasco di Chianti. Da tempo immemore cercano di educarci al concetto che gli insetti sono cibo, e non bastano giornalisti, influencers, politici a farsi notare con le cavallette (finte?) in bocca, la riluttanza c’è ed è palpabile, e allora perché non cominciare dagli infanti, che hanno la materia cerebrale più malleabile, magari con un giochino, per introiettare finalmente nel cranio della plebe che deve mangiare l’unica cosa presente in natura in quantità industriali senza che nessuno debba metterci mano. Probabilmente è questa la geniale idea che ha avuto Beppe Grillo lanciando la proposta di fornire le mense scolastiche italiane di insetti commestibili, con tanto di autorevole citazione di uno studio congiunto dell’Università di Cardiff e dell’Uwe di Bristol: vermi e larve sulle tavole degli scolari fra i 5 e gli 11 anni, quali fonti di proteine per sostituire quelle animali e vegetali in nome della sostenibilità. Tenuto conto di come si mangia da quelle parti, magari sarebbe un passo avanti: non manca, come ovvio, il solito condimento di polemiche ma scommetto che c’è già chi è pronto a dargli ragione, per amore o per forza.
Ricordo un simpatico passatempo presente su una rivista di enigmistica che si chiama “unire i puntini”, del resto, di questa abitudine ne parlò pure Steve Jobs in un celebre discorso a Stanford: sì proprio quello, “stay hungry, stay foolish” e non so per la seconda, però per la prima condizione manca davvero poco, con o senza insetti. E allora uniamo i puntini: pandemia. Guerra. Rincaro dei prezzi. Il cibo costa una cifra esorbitante, da Bulgari si spenderebbe di meno. Soprattutto per grano, farina e…ops! Ho detto farina? Ecco la soluzione: ora c’è la farina di insetti, magari fa meno impressione cominciare così, del resto mica c’ha zampette e antennine e non scrocchia nemmeno, un insetto polverizzato è meno traumatico, unito alla povertà e alla fame poi, chi se ne accorge. Che dire, non conosco posto migliore di questo caro vecchio continente per essere trattata come una perfetta imbecille. Del resto, con i costi alle stelle delle materie prime, probabilmente sarà a breve l’unico modo per farsi un panino, felice rimembranza dei bei tempi dell’andrà tutto bene trascorsi barricati in casa a fare pagnotte e torte, beata ingenuità. Ultimamente, per caso, ho letto un menu servito nel corso del World Economic Forum di Davos e, nonostante un’accurata ricerca, non ho trovato insetti, però mi pare di aver intravisto dell’ottimo - per chi lo mangia - jamon iberico, del resto le risorse sono poche ed è bene che vadano a una oligarchia ristretta: gli altri si arrangino, tanto gli scarafaggi si trovano ovunque, spesso nei posti più impensati. Oppure magari sto sognando, e in questa dimensione kafkiana da Metamorfosi 2.0, essendo il personaggio florido, tondo e con un nome da insetto, forse l’invito è quello di apparecchiare lui: nomen omen.