Giovani gay picchiati: il colpevole silenzio delle Istituzioni
- di: Barbara Leone
Parliamo dei froci. E’ questa la parola che usate, quando in una sera qualsiasi ammazzate di botte una coppia di sconosciuti in mezzo alla strada solo perché non vi piace il loro orientamento sessuale, giusto? Non meniamola per le lunghe: è proprio questa la parola che vi fa da scudo per darvi coraggio, per sentirvi nel giusto mentre prendete a calci, pugni e cinghiate due persone che si tenevano mano nella mano, e che non vi avevano fatto assolutamente nulla. Mi rivolgo a voi, machissimi campioni di virilità.
Anche se, ops, come la chiamereste sempre voi una ragazza che a suon di colpi di karate sfoga tutta la sua rabbia, ed evidente repressione sessuale, contro due giovani? E lo fa per giunta in perizoma a mo’ di mignot… pardon, di erinni del nuovo Millennio. Lesbica. La chiamereste, schifandola, lesbica. C’era pure lei fra i quattro umanoidi che poche sere fa all’Eur, Roma, hanno aggredito due ragazzi massacrandoli di botte. Il motivo? Perché erano gay. Anzi, froci. Quindi, se basta una parola, io al ristorante posso tranquillamente mettermi a pestare quelli che si ingozzano di bistecche, visto che non condivido il loro modo di mangiare. O no? E sempre se basta una parola, si può chiudere un occhio verso chi stupra una ragazza che torna la sera dalla discoteca vestita in maniera succinta.
Perché, quella sì, è una mignotta. Rettifico: già fatto. Al punto che finanche i tribunali, spesso, umiliano per la seconda volta le vittime con sentenze vergognose. E’ successo a Torino, con un’assoluzione perché lei aveva bevuto. Fino ad una, se possibile, ancora più assurda, qualche anno fa ad Ancona, ove i giudici hanno assolto gli aguzzini perché la vittima era troppo poco bella per attirarla sessualmente. Quindi era brutta. Ariecco la forza delle parole. E quindi dai. Lo diceva anche la canzone: qualunque cosa fai, o sei, ti tirano le pietre. E tutti zitti. Anzi. Nel caso dell’aggressione all’Eur, tutti a filmare coi cellulari. Applausi per voi.
Poi sì, mi direte: ma grazie ai video hanno beccato gli aggressori. Ma ne bastava uno. Mentre tutti gli altri potevano intervenire, o perlomeno allertare le Forze dell’Ordine. Anche qualcun altro, però, non è intervenuto a posteriori. Indovinate chi? Ella: la donna, madre, cristiana. Silenzio assordante, e silenzio assordante da parte dell’intero governo. Ma che mi meraviglio a fare: sono gli stessi che hanno bocciato il ddl Zan perché non c’è nessuna emergenza omofobia. E invece c’è, belli miei. C’è eccome, e questo è solo uno dei tanti casi più eclatanti che ne sono la riprova. E parte tutto da qui: dai froci. E’ non è stucchevole filosofia del politically correct, che mi fa pure venire l’orticaria. E’ una questione di cultura, oltre che di empatia e sensibilità. Mia mamma mi ha insegnato sin da piccola a pensare: e se fosse tua sorella? E se fosse tuo figlio? Lo chiedo anche a Lei, egregio signor Presidente del Consiglio: se fosse suo figlio, o fratello, ad esser chiamato di continuo frocio, e magari massacrato di botte mentre passeggia mano nella mano col suo compagno, penserebbe ancora che nel nostro Paese non vi è alcuna emergenza omofobia?
Accidenti che esagerata, dirà qualcuno. Se non si può neanche scherzare dicendo “guarda quel frocio”, allora non c’è più libertà a questo mondo. Ma vi domando: siete così convinti che non esista una parola che definisca la vostra di libertà, e che magari un domani qualcuno potrebbe usarla per urlarvela in faccia mentre vi aggredisce in mezzo a una strada? Vecchio, grasso, storpio, terrone, negro, povero… E’ un lungo elenco: che sia l’orientamento sessuale, il genere, l’etnia, la disabilità, la religione, l’età, la provenienza geografica o finanche il tifo sportivo, la verità è che tutti apparteniamo a una categoria. E, quindi, siamo tutti potenziali bersagli di una parola che si può tradurre in gesti. Non esiste, e non può esistere, uno straccio di giustificazione. Alla violenza innanzitutto. Ma neanche all’uso di certe parole. O al silenzio di chi, teoricamente, dovrebbe difendere innanzitutto i diritti e l’incolumità dei più fragili.