Gianluca Vacchi: bravissimo, nel suo mestiere (di influencer)
- di: Barbara Bizzarri
Ci sono quasi cascata. Quasi, però. Un esercito di collaboratori più o meno in nero batte cassa a Gianluca Vacchi, e sceglie proprio il periodo di lancio del suo documentario Mucho mas: ohibò, che stranezza. Prima la colf inferocita dopo anni di angherie: Laluna Maricris Bantugon, 44 enne filippina e indignata che si lamenta per gli insulti e la costrizione a fare i balletti che hanno reso celebre l’influencer da cinquanta milioni di followers sui social, intabarrati nelle divise d’ordinanza e forzati a zompettare a 40 gradi. La lista di rimostranze a favor di tribunale è lunga: un contratto di sei ore a fronte di 24 effettive, offese e lanci di oggetti se i passi della coreografia non erano perfettamente sincronizzati e perfino 100 euro di multa per ogni oggetto spostato, perduto o dimenticato nel fare i bagagli: verrebbe da chiedersi cos’hanno di magico questi cento euro per essere richiesti a tutti i negligenti d’Italia. La richiesta finale è di 70mila euro di arretrati, con attestazione di grande fiducia nella giustizia italiana. Poco dopo, è il turno di Laura Siazzu, la collaboratrice formato Perry Mason che difende il capo, inneggia al suo primo contratto a tempo indeterminato, spiega che le divise fanno parte della coreografia, in realtà vanno in giro in pantaloni e t-shirt, e che non ha mai trovato un padrone più buono del” dottore”, così lo chiama: tutto ciò in un video da sei minuti in cui, insieme al GV – come da monogramma sul tovagliolo – staff, non ci stanno a passare per gente che si fa umiliare pur di portare la pagnotta a casa: “il dottore ci fa anche mangiare. Siamo pagati bene, abbiamo vitto, alloggio, e le ferie”. Sottolineano che il dottore dice anche “per favore” quando chiede un asciugamano e che la sfigatissima Bantugon, ora che non ha più l’onore di far parte del loro gruppo di miracolati, meriterebbe di morire di stenti fuori dal portone della Caritas.
Finita la commovente arringa, la telenovela continua con una coppia di ex dipendenti sardi che decide di uscire allo scoperto e chiede un risarcimento al tribunale del lavoro per oltre 700mila euro. Anche in questo caso, si parla di mancati pagamenti e concessioni di ferie, con in più l’aggravante del lavoro in nero, per oltre dieci anni. Sostengono di aver lavorato alla corte dell’influencer quindici ore al giorno finché, per l’onta insopportabile di un aperitivo gestito in modo grossolano, sarebbero stati accusati di furto e messi alla porta. L’accusa, ritenuta dalla coppia “infamante e strumentale”, è di aver rubato un pc e un modem, oltre a un milione di euro nel corso del tempo, e ribattono che il principale avesse affidato loro carte di credito e bancomat per prelevare contanti alla (sua) bisogna, necessari per pagare, sempre cash, una pletora di estetiste, massaggiatori, tatuatori, addetti alla sicurezza e fare qualche prestito ad amici e ragazze. Risultato del bailamme? Ho visto Mucho mas in tempi non sospetti e prima che l’hashtag #vacchiout imperversasse sui social: "Via gli sfruttatori", "guardiamoci i documentari di storia", "non abbiamo bisogno di chi considera i suoi dipendenti schiavi", sono soltanto alcuni dei commenti sulla pagina di Amazon Prime Video, dopo le rivelazioni scottanti della servitù di casa. Naturalmente, aspetto, armata di popcorn, altre puntate della faida tra collaboratori domestici: come insegnano le commedie stracult degli anni Settanta, il vero divertimento è sbirciare dalla porta di servizio (altrimenti, perché vedere Downton Abbey?), e GV lo sa.