Fedez e l’audio dallo psicologo: cui prodest?
- di: Barbara Leone
Chissà cosa direbbero Freud e Jung sapendo che Fedez ha condiviso con milioni di follower l’audio della sua seduta dallo psicologo risalente al giorno in cui ha scoperto di avere un tumore al pancreas. L’intenzione sarà pure buona, per carità. Ed è pur vero che i tempi cambiano. E però, se la memoria non ci inganna, una delle prime regole quando si inizia un percorso di psicoterapia è proprio quella di non parlare all’esterno di ciò che si dice col proprio analista. Il motivo, del resto, è abbastanza intuibile. Perché quello che si instaura con lo psicoterapeuta è un rapporto a due, basato sulla fiducia e riservatezza, volta peraltro alla tutela ed al benessere del paziente stesso. Che allo psicologo dice tutto, più che a un confessore. Certi della sospensione totale di qualsivoglia giudizio, ci affidiamo alla sua professionalità per alleviare angosce e dolori nonché per decodificare e correggere, si spera, tutte quelle dinamiche comportamentali che in qualche maniera ci bloccano nelle relazioni e nella vita in genere. E che sia un rapporto esclusivo è fondamentale. Per lo psicologo, poi, mantenere la riservatezza rappresenta un obbligo deontologico. Per il paziente obbligo non è, ma è comunque vivamente consigliato. Semplicemente perché esponendo il contenuto delle sedute a commenti e interpretazioni di terze parti se ne sciupa inevitabilmente l’essenza più preziosa. E’ una regola base, non scritta per carità. Non apodittica, ma banalmente dettata dal buon senso visto che lo spazio di una seduta terapeutica è talmente intimo che ciascuno dovrebbe custodirlo all’interno di sè per ritornarci a tempo debito e con calma. Del resto fare psicoterapia è un lavoro da ambo le parti. Un lavoro che costa fatica, lacrime e, ovviamente denaro.
Il fatto di spiattellare a milioni di persone una cosa talmente delicata ci lascia, sinceramente, un po’ basiti. Così come l’idea che una persona in un momento così doloroso pensi a registrarsi la seduta. Anche perché la consapevolezza della registrazione, forse, cambia anche la dinamica tra terapeuta e paziente inficiandone la stessa veridicità. Magari il rapper lo ha fatto per trarne giovamento di là a venire, e questo ci può pure stare. Ma perché pubblicarlo sui social? Qui prodest? In tutta onestà questo gesto ha in sé il retrogusto un po’ amaro della spettacolarizzazione a tutti costi delle proprie vicende private. E a dir la verità, pur con tutta la simpatia e comprensione, ci appare veramente inopportuno. Ovvio che poi lui può fare quello che vuole. Ma ci si lasci almeno la possibilità di dissentire sulla pericolosa china di questo mainstream che spinge sempre più la gente, famosa e non, a mettere in piazza anche i sentimenti più intimi e personali, annullando così quella sfera privata che è fondamentale per costruire relazioni autentiche e disinteressate tra le persone. La malattia non è una vergogna, ci mancherebbe, e lui ha fatto non bene ma benissimo a parlarne. Non foss’altro per sensibilizzare l’opinione pubblica, e soprattutto i tantissimi giovani che lo seguono, al riguardo. Ma forse così si è oltrepassato un po’ il limite, anche perché così facendo si va ad alimentare la già dilagante mania di spiare dal buco della serratura. Il prossimo passo quale sarà? Tremiamo al sol pensiero.