Draghi non fa passi indietro, le elezioni ormai dietro l'angolo
- di: Diego Minuti
Sono stati costretti a ricredersi coloro che speravano che la decisione del presidente della Repubblica di respingere, con cortese fermezza, le dimissioni presentate di Mario Draghi potesse essere il segnale che forse il presidente del consiglio non fosse convintamente determinato ad andarsene. Invece il passare delle ore e dei giorni sta dicendo l'esatto contrario, e cioè che Draghi, sconcertato dal teatrino scatenato da Giuseppe Conte, non ha nessuna intenzione di fare passi indietro perché non ci sta proprio a farsi ricattare. Nemmeno se i suoi tanti estimatori (Amministrazione americana e Unione europea in primissima fila) fanno pressioni per convincerlo a continuare la sua esperienza. I motivi alla base della determinazione di Draghi sono tanti e tutti motivati, senza entrare nel merito dell'estemporanea mossa di Conte che, da componente la coalizione di governo, con il suo documento in nove punti intendeva riscrivere a modo suo storia e mosse future dell'esecutivo.
Se avesse deciso di cedere, anche se non totalmente, alle richieste ultimative di Conte, Draghi avrebbe indebolito sé stesso - come primo ministro - e il governo, palesemente condizionato dai Cinque Stelle ben al di là del loro reale sempre meno determinante peso politico Avanzare delle proposte fa parte della normale dinamica in seno alle forze che compongono una coalizione, ma porle come ukase è un modo, abbastanza maldestro, di preparare la caduta del governo, nella consapevolezza che gli altri non permetterebbero mai ad un esecutivo di essere a unica trazione. La situazione che si è creata non sembra lasciare spazio a soluzioni che non siano la presa d'atto dell'impossibilità del governo di proseguire nella sua esperienza e, quindi, di andare allo scioglimento delle Camere e al voto. La cosa che sconcerta, in tutto questo, è che i Cinque Stelle sembrano non rendersi conto di quanto fosse puerile il loro pensiero di volere andare avanti, come se nulla fosse, anche dopo la politicamente gravissima decisione di non votare la fiducia al governo. E forse ben più che puerile è la scelta di restare dentro il governo (i ministri grillini pare non vogliano affatto dimettersi) dopo esserne formalmente usciti in sede di ''non voto''.
Ma, se sono fondate le voci che corrono veloci in una Roma boccheggiante dal caldo, in casa grillina è caos, è un 'tutti contro tutti', è rivolta di una fetta consistente dei parlamentari contro lo strapotere che un ben determinato quanto ristretto gruppo avrebbe su Conte, condizionandone le scelte e, quindi, la linea politica del movimento. Il fatto che è più sconcertante in quanto sta accadendo è che le sorti del Paese - perché è di questo che parliamo - sono finite nelle mani di un movimento che è condizionato da decisioni prese da chi è ufficialmente fuori dal Parlamento: dal 'garante' Beppe Grillo al presidente Giuseppe Conte, dal rasputiniano Rocco Casalino a Virginia Raggi, mettendo da parte Alessandro Di Battista. Il conto alla rovescia verso lo scioglimento delle Camere ormai corre veloce, mentre il centrodestra si sfrega le mani in attesa della certa vittoria, stante l'attuale sistema elettorale. Resta quindi la curiosità di capire quale possa essere l'evoluzione dei Cinque Stelle, che si trovano davanti all'ennesimo dilemma su quale sia il futuro che vogliono per loro. Dovranno quindi andare alla conta interna per capire chi avrà vinto, tra destra e riformisti, tra filorussi e filoatlantici, tra politici e maneggioni.