La giornalista di Toscana TV di cui tanto si parla è una miracolata che ha cavalcato l’onda: se quel tizio non le avesse sfiorato il culo fuori dallo stadio a quest’ora stava ancora a farsi il mazzo nelle tv di provincia. La sua allure da vittima, perfetta per questi tempi da cultura del piagnisteo,
l’ha proiettata verso la notorietà che altrimenti si sognava e un po’ inseguiva nelle sue pose da influencer caratteristiche delle cittadine con meno di quindicimila abitanti, scollature e spacchi a favor di telecamera e foto rigorosamente da dietro sugli scogli a cui manca soltanto la frase di Leibniz quale giusto contrappasso, un po’ come Seneca per Miss Italia.
Il collega che le aveva consigliato di far finta di niente è scappato in Grecia dopo la pensione, lei invece ha ottenuto un risarcimento da 15mila euro, l’OdG da 10mila - incomprensibile -, e un anno e mezzo di galera per il malcapitato, ormai privato di tutto, a partire dalla dignità. Che sia stato un fesso ci sta, che il corpo altrui sia intoccabile anche, ma pure che una condanna del genere sia spropositata e ridicola proprio perché è evidente quanto voglia essere esemplare: a questo proposito, sarebbe interessante sapere
a quanto sono stati condannati quelli del Capodanno in piazza a Milano, ammesso che siano stati processati, e quale criterio abbiano invece seguito i magistrati che,
per uno stupratore dello Sri Lanka, hanno deliberato il solo obbligo di firma, lasciandolo quindi libero a tutti gli effetti di continuare a violentare donne impunemente.
Se il caso è mediatico, la giustizia è veloce, implacabile
Chissà perché certi processi e certi stupri, oltretutto, spariscono dalle cronache con una velocità impressionante, insabbiati con assoluta nonchalance, mentre si continua ad assimilare una pacca o un complimento allo stupro, aggiungendo altra violenza a chi la violenza l’ha subita davvero, e non a chi cerca quarti d’ora wharoliani. A proposito di pacche, vero è che c’è una gran differenza se una la pacca è ben felice di riceverla così, en passant, dal Moggi di turno tanto da immortalarla in foto, oppure se arriva da uno sfigato qualsiasi, che però in questo caso dovrà trascorrere cinque anni a fare percorsi di recupero con stupratori e maniaci veri. Se il caso è mediatico, la giustizia è veloce, implacabile. Se non lo è, le carte finiscono da qualche parte a prendere polvere e chi si è visto si è visto, altro che equanimità:
quante sono le donne stuprate che continuano a vedere i propri aguzzini liberi? Donatella Colasanti ha denunciato fino all’ultimo la presenza di uno dei tre mostri del Circeo, libero a Roma, nessuno l’ha ascoltata. Si è perso del tutto il senso della misura, ormai. Stupri veri derubricati a ragazzate oppure passati direttamente sotto silenzio, soprattutto se inflitti da “risorse”, un complimento alle gambe di una donna da parte di un alpino spacciato per violenza, continui inviti a denunciare maltrattamenti e, quando lo si fa, la quasi totalità delle volte serve a nulla, prova ne è che la maggior parte delle donne uccise non faceva altro ricevendo in cambio appelli alla rassegnazione e via così in un incubo, in cui sappiamo di non essere tutelati da niente e da nessuno, a meno che non si tratti di ragazzate, appunto, o di scorciatoie verso la fama. A proprio rischio e pericolo, però: Oscar Wilde ammoniva che non è mai saggio esordire con uno scandalo.