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Da Maneskin a Maneskif è un attimo

- di: Barbara Leone
 
Libertà non è fare ciò che si vuole. Libertà è fare cose che abbiano un senso. E distruggere gli strumenti musicali alla fine di un concerto senso non ne ha. Non è figo, non è trasgressivo e non è nemmeno rock. Del resto i Maneskin di rock hanno solo la parvenza. E la disperata ricerca dell’emulazione altrui. Tutto già visto. e già sentito. Dalle calze a rete alla lingua di fuori, dalle chitarre distorte fino a quelle sfasciate sul palco. Jimi Hendrix addirittura la bruciò. Ed era il 1967. Dopo di lui lo fecero gli Who, i Nirvana e finanche i Pink Floyd. Tutta gente che però gli strumenti, oltre a distruggerli, li sapeva pure suonare e bene. Al contrario di questi, che semplicemente li grattano con l’aiuto dei watt. Personalmente poi, anche nei su citati casi più illustri lo trovo un gesto disgustoso e blasfemo. Perché per un musicista il proprio strumento è sacro. Per un musicista, appunto. Che sa bene quanto quello strumento rappresenti tutto, dal momento che è il mezzo per dar vita alla propria arte, ed a volte è esso stesso un’opera d’arte. Che sia uno Stradivari o una Fender poco cambia. Il sentimento di un musicista vero è lo stesso. Ed il punto è tutto qui: questi quattro ragazzotti tutto sono fuorché musicisti. Trattasi di un gruppetto mediamente bravo, come altri millemila, pompato e strapompato da produzione e media, che nel momento di assenza di rock commerciale (e sottolineo commerciale) in Italia li ha imbucati praticamente ovunque facendoceli sciroppare in ogni salsa.

I Maneskin distruggono gli strumenti sul palco

E facendo credere al popolino, che in quanto a cultura musicale oramai sta a livello sotto zero, che è nata una stella. Per giunta rock. In un Paese, ricordiamolo, che definisce rocker Vasco Rossi e Ligabue. Ma di che stiamo a parlà? Che poi, nella fattispecie, i Maneskin hanno sempre sbandierato ai quattro venti che vengono dalla strada, che suonavano per due spicci a Via del Corso e menate simili. E ora, evidentemente ebbri di soldi e successo, si permettono di distruggere i loro strumenti? Con quello che costano! Ci sono tanti e tanti ragazzi, più che talentuosi ma ahimè sconosciuti, che una chitarra se la sudano in anni di sacrifici. Come la giri la giri, quello diffuso dai Maneskin sul palco di Las Vegas è veramente un brutto messaggio. Non a caso moltissimi fan gliel’hanno giurata. Anche perché si atteggiano tanto a ribelli, e poi nei loro video taggano Gucci. Una ribellione al cachemire! Quello che però intristisce di più di questa pagliacciata, perché di pagliacciata parliamo, è che manca totalmente di spontaneità. Perché è evidente che è stato un gesto studiato a tavolino dal management per far parlare del gruppo. Che molto banalmente è una macchina per far soldi, e tutto ciò che fanno in pubblico fa parte dello spettacolo. Nulla di ciò che esprimono è realmente rivoluzionario, dissacrante, tanto meno artistico. Sono un bluff, un po’ come i tre tenorini che scimmiottano malamente, e con insopportabile alterigia, Pavarotti, Domingo e Carreras. Anche loro, esattamente come i Maneskin, rappresentano una sorta di esperimento sociale per vedere fino a che punto si può far accettare, e poi osannare, il nulla artistico alle fasce intellettive più deboli tramite il bombardamento mediatico. Come scrissero i Sex Pistols nell’ultimo album: “vi abbiamo fregato anche questa volta”. Non per niente vennero denominati la più grande truffa del rock ‘n roll. E però anche a copiare ci vuole talento. Alla fine della fiera, da Maneskin a Maneskif è un attimo.
 
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