Corrado Augias porta “La gioia della musica” nelle case degli italiani: gli riuscirà il miracolo?

- di: Barbara Leone
 
Uno spiraglio di luce in mezzo a un tunnel fatto di chiasso, villania, maleducazione e volgarità. Tradotto: la tv del terzo millennio. Quella delle risse, dei talk sconclusionati, dei tronisti, dei vipponi e dei naufraghi. Per fortuna, però esiste ancora qualcuno che crede ad un domani televisivo migliore. E che almeno ci prova ad alzare il tiro. Come per esempio Corrado Augias, giornalista di razza della vecchia scuola (uno degli ultimi rimasti a questo mondo) dotato di garbo, educazione e rara onestà intellettuale. Ma soprattutto dotato di grande cultura. La sua ultima sfida si chiama “La gioia della musica”, un programma televisivo che parte questa sera con l’ambizioso, ed apparentemente azzardato, obiettivo di portare la musica classica nelle case degli italiani. Per di più non nell’ora più tarda che volge al desio. Perché solitamente tutto ciò che riguarda la musica classica va in onda, se tutto va bene, dopo mezzanotte. Come se gli amanti di Beethoven, Chopin et similia fossero tutti dei mezzi depressi insonni, forse per riecheggiare la famosa Sonnambula di Bellini. Questa volta no, e questo è già è un bel passo avanti. La trasmissione di Augias, infatti, andrà in onda alle 20:20. Ovviamente su Raitre, che piaccia o non piaccia è l’unico canale televisivo che trasmette ancora programmi di qualità. Il che vuol dire che farà da traino nientepopodimeno che a “Un posto al sole”, seguitissima e intramontabile soap di mamma Rai. Ce la farà il giornalista e scrittore romano ad attirare l’attenzione degli abulici e intorpiditi telespettatori italiani su Verdi, Puccini e Mozart? Non è dato saperlo. L’ultima volta ci aveva provato Baricco nel lontano 1993 con “L’amore è un dardo” che, manco a dirlo, andava in onda a ridosso della mezzanotte. E nonostante tutto andò bene, perché gli ascolti, vista la fascia oraria, furono strepitosi. Poi però il programma sparì dai palinsesti Rai: i misteri di Viale Mazzini. 

La verità è che, e non ci stancheremo mai di ripeterlo a mo’ di mantra, se alla gente gliele proponi le cose belle le guardano pure. E si appassionano. Del resto il melodramma, ai tempi in cui esplose, era un’arte nazionalpopolare. Il motivo è molto semplice, e anche intuibile: nell’Ottocento, periodo in cui l’opera lirica raggiunse il suo apice, l’ottanta per cento della popolazione italiana era analfabeta. Ergo, gli italiani di ceto medio-basso non leggevano di certo romanzi, poesie né i primissimi giornali che proprio in quegli anni iniziavano a veder la luce. Il melodramma non abbisognava di alcun tipo di erudizione. Bastava ascoltare, e guardare le azioni che si svolgevano in scena. Ed arrivava dritto al cuore della gente più umile. Perché con le sue storie appassionanti, la musica coinvolgente ed un linguaggio che per l’epoca era abbastanza semplice e lineare li immergeva in una realtà parallela fatta di eroi, traditori, prostitute e re, che per tre ore o poco più erano il loro specchio. Non c’era bisogno di istruzioni per l’uso: l’opera faceva tutto da sé. Celando spesso e volentieri tra le note anche più o meno espliciti richiami politici. Basti pensare al Nabucco, vero e proprio anelito alla libertà degli italiani attraverso la storia dell’oppressione degli ebrei.

La passione della gente comune per la lirica, poi, è durata ancora per anni e anni. Andare all’opera non era una roba da ricchi, o da intellettuali. Lo facevano tutti, almeno sino agli anni Sessanta ed oltre. Fino al’avvento della tv commerciale che, non ci stancheremo mai di ripetere anche questo a mo’ di matra, ha abbassato irrimediabilmente e definitivamente il livello culturale degli italiani catapultandoli nell’abisso nel nulla cosmico. E difatti ora come ora l’opera lirica, e più in generale la musica classica, è considerata materia da vecchie cariatidi. O da snob. Un po’ di responsabilità, a dire il vero, ce l’hanno anche i grandi Maestri. Che troppo spesso sembrano aver la puzza sotto al naso, imbalsamati come sono nei loro smoking e papillon, metaforicamente parlando. Laddove, forse, era il caso di aggiornare per lo meno il linguaggio mediatico per coinvolgere soprattutto le giovani generazioni, lontane anni luce dalle sempre più sonnolente platee dei teatri del Belpaese. Ben lo capì il Lucianone nazionale, alias Pavarotti, che con acume e nonchalance si mise a cantare con Jovanotti e Bono Vox. E difatti chi è che poi recentemente ha acquisito autorevolezza agli occhi del grande pubblico? Uno come Giovanni Allevi, che con la musica c’azzecca come la cioccolata sulla pizza: zero. I critici acculturati la chiamano contaminazione. Ma è semplicemente furbizia. Che, per carità, qualche risultato lo ha pure portato. Ma leggermente distorto, perché la musica classica non è quella. Sarebbe cosa buona e giusta parlarne con dovizia di particolari e nella maniera giusta senza trascendere nella macchietta. Noi ci speriamo, dunque, che il buon Augias possa fare il miracolo. Sarebbe veramente un gran bel segnale soprattutto per chi, come noi, crede che l’unica rivoluzione possibile e auspicabile sia quella delle menti. Ma forse, per dirla con Tosca, è fallace speranza. 
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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