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Chiara riappare con #ADV e sono subito insulti

- di: Barbara Bizzarri
 
Non mi ha mai convinto, e si è visto - anzi, letto -, ma sembra davvero che tutti i frustrati dell’era Ferragni non vedessero l'ora di scaricarle addosso quintali di letame e magari sono gli stessi che la idolatravano, o fingevano di farlo finché è convenuto mentre dall’ora X si sono precipitati ad abbandonare il Titanic che affondava (in effetti, è già adagiato sul fondo del mare). Quanta vigliaccheria nella nuova shitstorm che si è abbattuta sul biondo capino di Chiara Ferragni, a Madrid per sponsorizzare uno shampoo vegano di Goa Organics, brand minore del colosso francese che avrà fatto un falò dei cartonati che impazzavano ovunque quando le chiome ferragnesche promuovevano Pantene, che penso abbia usato mai, nemmeno per lavare il cane di casa. 

Aver ripiegato sul più modesto Goa però non è servito per riciclarsi come amante della natura clean & cruelty free dopo decenni di pellicce selvagge e multinazionali del junk-food: tutti i commenti sulla nuova sponsorship infatti sono stati oscurati e non è affatto difficile capire perché. Ormai su questa tapina la gara è a chi la spara più grossa dopo che in men che non si dica ha perso tutto: reputazione, marito (sorvoliamo) e ingaggi, da Tod’s (dove va a cacciarsi l’ingenuità, signora mia) a Pigna, che ha retto per un po’ e poi è fuggita come tutti gli altri. Certo, la sua beneficenza era molto, ma molto opaca. Certo, l’Italia è terra atavica di invidie. Certo, il suo attaccamento al denaro e la propensione a monetizzare tutto possono risultare indigesti: e a proposito come dimenticare il video in cui, con il figlio appena nato o quasi, già si appellava alla Kinder facendo sapere che le sarebbe “piaciuto tantissimo vederlo sulla scatola delle barrette”

Pecunia non olet, ma le va dato atto di aver compreso e incarnato lo zeitgeist più rimbecillito della storia oltre ogni trattato di sociologia esistente. Eppure, da dea ex machina e regina Mida a bersaglio per le freccette direi che nel lungo percorso fino al tiro alla fune, o alla caccia alla volpe, qualcosa è andato sicuramente storto. Intristisce notare che come al solito l’esperienza propria o altrui non è maestra di nulla: quando dagli altari è caduta nella polvere, e chissà che il pandoro sia una questione perfino marginale nel ciclone che l’ha travolta, poi è stata una corsa a smarcarsene il più velocemente possibile mentre sui social ora c’è chi la bacchetta per essere precipitata, nei suoi tentativi di risalita, “più in basso di Annalisa ed Elodie”. È una gara, abbastanza penosa, a chi la offende e umilia di più, dopo la mortificazione che è riuscita a infliggersi da sola con una serie di manovre troppo disinvolte perché qualcuno prima o poi non si affacciasse a guardare bene nell’abisso: ma l’accanimento su una influencer caduta in disgrazia sa tanto di logica da branco, quella stessa logica che viene stigmatizzata quando a farne le spese sono persone comuni e non una che prima era blandita e riverita da chiunque pensasse di prelevare un po’ di polvere d’oro per brillare anch’egli, quasi fosse una moderna Trilly.

Fra i mille modi di beatificarla quando era “la” Ferragni, persino il tentativo di spacciarla come volano per gli Uffizi con tanto di lodi cantate dall’allora direttore quando la poverina sbatteva le palpebre nei suoi Dior senza capire esattamente quello che aveva intorno anche se, nell’ordine delle (sue) cose, non aveva la benché minima importanza: adesso però sarebbe ora di finirla con questo tiro al piattello, almeno per non ritrovarsi in Purgatorio con gli occhi cuciti. Ma forse l’ex “Chiaretta nazionale” deve pagare il fatto di non essersi scapicollata sotto un treno in stile Karenina 2.0 e di avere ancora “qualche milione in banca”, dettaglio che non si accorda con la tutina da penitente: giova ricordare, però, che era di cachemire. 
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