In un Paese serio un’azienda come Ama verrebbe rasa al suolo e ricostruita. Perché se è vero, come è vero, che il pesce puzza sempre dalla testa il problema principale dell’Ama è la sua dirigenza.
Che non può non sapere di che pasta siano fatti certi suoi dipendenti. E non parliamo solo dei nullafacenti, dei malati immaginari e nemmeno di quelli che pochi giorni fa sono stati beccati a rubare carburante dai mezzi di lavoro per poi rivenderlo ai privati. Bazzecole, si fa per dire, in confronto al pattume umano che con scientifica e cinica regolarità
ha pesantemente bullizzato i colleghi più fragili e indifesi: i lavoratori disabili. Una condotta ingiustificabile ed orrida, che se possibile fa ancora più schifo della monnezza stessa che l’azienda continua imperterrita a lasciare ammuffire per le strade di Roma.
La cosa agghiacciante è che tra l’inizio e la fine di questa storiaccia sono trascorsi dieci anni
Questa nauseabonda punta dell’iceberg è emersa a seguito della condanna a quattro mesi di reclusione rimediata da un ex manutentore dello stabilimento Ama di Rocca Cencia che aveva aggredito un operaio lanciandogli addosso alcuni gattini morti trovati nei rifiuti. L’episodio risale a febbraio del 2012, ma il procedimento è stato appena aperto dal pm Gennaro Varone per “rifiuto di atti d’ufficio”. Al momento nell’inchiesta non risultano indagati, ma l’attenzione è tutta rivolta sulle dinamiche interne dell’azienda che avrebbero portato la vittima traumatizzata a non svolgere per anni il suo lavoro.
Dopo la violenza subìta, infatti, il dipendente Ama ha riportato un’invalidità permanente e certificata in cui gli erano stato indicato di “non poter lavorare in un contesto che potesse determinare stress relazionale”. Peccato, però, che nessuno si è adoperato per trovargli un ruolo consono alle sue condizioni di salute. Anzi, l’uomo avrebbe trascorso le sue giornate di lavoro “relegato negli spogliatoi sottoterra facendo crescere così l’astio e l’antipatia dei suoi colleghi nei suoi confronti che un giorno imbrattarono il suo armadietto con delle mutande sporche di materia fecale”, così è scritto negli atti.
L’indagine è corredata anche di audio inequivocabili, da cui emerge che la strategia è quella di “fare la guerra” ai dipendenti invalidi. E “succede quello che succede”. Non un caso isolato, dunque. Ma, come riportano gli atti, una vera e propria strategia. Spietata e vergognosa. Tant’è vero che in un un’ulteriore registrazione si parla del pressing su “un’altra persona invalida” contro cui sarebbero state approvate multe e sanzioni inventate, ottenendo così il risultato di sfinire lei e la direzione del personale. La cosa agghiacciante è che tra l’inizio e la fine di questa storiaccia sono trascorsi dieci anni. Dieci! Durante i quali nessuno ha mosso un dito, e tutti hanno fatto finta di non sapere. Perchè è impossibile che una condotta simile fosse oscura ai più. Troppo impegnati, evidentemente, a pulire le strade di una Capitale che sempre più assomiglia ad una megalopoli del terzo e quarto mondo. Ma senza quel cuore là.