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Agnello di Dio che togli i peccati del mondo…

- di: Barbara Leone
 
Abbi pietà di noi. Giuda tra tutti i Giuda, che ti vediamo nascere e sgambettare allegramente nell’erba intrisa di rugiada, che ti sentiamo mugolare teneramente mentre rincorri la tua mamma, che ti mostriamo orgogliosamente ai nostri cuccioli bipedi nelle nostre scampagnate di inizio primavera: “Uhhhh! Guarda l’agnellino, bello de mamma. Vieni qua, lo vuoi accarezzare?”. Poi però non glielo diciamo a lui, al bello de mamma, che se lo ritroverà nel piatto tra qualche giorno. Quando tra un’Ave Maria e un Padre Nostro glorificheremo la Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo a suon di abbacchio con le patate. Coratella compresa, che sono le interiora. Perché senza agnello, che Pasqua è? Guai a chi tocca le tradizionihhhhiii! Vade restro vegani e animalari vari. Poi chi se ne frega se proprio in questi giorni li vediamo pascere tranquilli e beati, sempre un passo dietro alla loro mamma. Perché anche loro, come i nostri bipedi, sono cuccioli sempre in cerca della mamma. Una mamma che nutre, coccola e protegge da tutto e da tutti. Ma che nulla può contro l’essere (dis)umano, che da buon Iscariota tradisce la fiducia e l’innocenza di esseri puri e indifesi che chiedono solo di vivere. E vivono, vivono eccome in questi giorni. Basta farsi un giro ai margini delle città, ove i pastori portano al pascolo le greggi che non di rado si allungano fino ai centri abitati. Ma anche qui, in pieno centro di Roma, alla Caffarella per esempio. Appena pochi giorni fa, portando lì i miei cani a spasso, mi sono imbattuta in questi piccolini che ti spappolano il cuore con la loro disarmante tenerezza. E mi sono pianta tutte le lacrime che avevo in corpo guardandoli così: felici e ignari dell’inferno che tra poco dovranno attraversare.

Un inferno che inizia allorquando, ad appena un mese di vita, vengono strappati alle loro mamme. Trascinati per le zampe, e letteralmente scaraventati all’interno di camion che non sono poi tanto diversi da quelli che trasportavano gli ebrei nei lager nazisti. E no. Non esagero manco un po’. Perché, numeri alla mano, quello che ogni anno sotto la Santa Pasqua si consuma è un vero e proprio Olocausto. Quattrocentomila solo a ridosso delle festività pasquali. Ma siccome poi l’agnello non manca mai nei nostri, nei loro ci tengo a specificare e ne vado fiera, menù il totale per ogni anno di agnelli macellati è di oltre due milioni. Se non è un Olocausto questo… Vogliamo poi parlare delle condizioni in cui vengono portati a morte? Ammassati uno sull’altro, senz’aria e senz’acqua, con viaggi interminabili e lunghissime soste nelle piazzole di servizio. Quando i trasportatori si vanno a rifocillare, e loro chiusi lì. Condannati a boccheggiare per ore ed ore con il terrore negli occhi. Perché è questo, forse, l’aspetto più atrocemente insopportabile per chiunque abbia un minimo di cuore. La loro paura, il terrore, il loro capire perfettamente quello che sta per succedere. Perché, a differenza di ciò che pensano in molti, gli animali, tutti gli animali, sono di una intelligenza istintuale che noi non sappiamo neanche immaginare. E la paura la fiutano nell’aria, la percepiscono nei gesti, nel tono della voce e se lo comunicano tra di loro.

E così mentre un agnellino sta per essere ammazzato l’altro già sa che sarà il prossimo. Ma ve lo immaginate? No. La verità è che per quanto lo si possa raccontare, vedere negli ormai, per fortuna, tantissimi documentari al riguardo, noi non lo potremo mai immaginare cosa voglia dire essere trattati come degli oggetti. Marchiati, spinti, presi a calci, legati per le zampe, appesi per il macabro rituale del peso, storditi ma solo apparentemente, sgozzati e lasciati morire lentamente senza alcuna pietà. “Deiugulati”, per la precisione: un foro nella carotide, si aspetta che il sangue esca. Ecco. Io di fronte a tutto questo penso proprio a Gesù. Il cui simbolo non poteva che essere un agnello: mite, indifeso, vittima ideale dell’essere umano perché non ha né artigli né denti. Non è neanche bravo a scappare. Ha solo paura. Ecco perché il suo sangue che tra pochi giorni sgorgherà a fiotti nei mattatoi di tutt’Italia è una bestemmia. Una bestemmia innanzitutto per i cristiani, che dovrebbero essere i primi a ribellarsi a questa barbara tradizione. Perché, se tanto mi dà tanto, se l’agnello simboleggia Gesù noi stiamo torturando e uccidendo proprio lui attraverso gli agnelli. Ma, credenti o meno, dovremmo tutti dire una volta per tutte NO. Non in nome di Dio, non in nome mio. 

Anni fa un prete buono e illuminato, che tanto amava i fratelli animali al punto da esser convinto che sono i primi ad andare in Paradiso, scrisse una meravigliosa poesia intitolata “La preghiera dell’agnello”. Si chiamava Monsignor  Mario Canciani, e scrisse queste commuoventi righe proprio in memoria dell’ingiusto e inutile sacrificio di tante e tanti vite innocenti. L’ho riletta dopo tanto tempo, e oggi come allora non ho potuto chiedere perdono al Padreterno per tutta l’assurda e sconfinata bestialità umana. Eccola qui. Fatene buon uso. “Signore, sono un piccolo agnello, nato da un sogno della Tua creazione. A noi agnelli, per breve tempo ci è dato di brucare, sulle colline, l’erba madida di rugiada e scaldata dai primi raggi del sole. C'è chi crede di poter festeggiare la Tua Pasqua vittoriosa con la nostra morte, una morte lunga, crudele. Assieme ad altri agnelli resterò appeso, da vivo, perché la mia carne sia più bianca, in attesa che l'ultima goccia di sangue esca dalle mie vene tra immense sofferenze. Con la sensibilità allo spasimo e gli occhi lacrimanti, guarderò a Te, che hai voluto essere chiamato Agnello di Dio. Per questa Tua partecipazione al mio dolore, fa che possa almeno vivere assieme ai miei amici in quel soggiorno felice che è il Tuo paradiso, per specchiarmi per sempre nella limpidezza del Tuo amore eterno. Amen”.
 
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