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In Olanda si vota anche nelle carceri: seggi nei musei, negli stadi e perfino nei salotti di casa

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
In Olanda si vota anche nelle carceri: seggi nei musei, negli stadi e perfino nei salotti di casa

Nel sistema olandese il diritto di voto non è confinato negli uffici comunali. Si distribuisce nei luoghi reali della vita civile, e non in quelli burocratici. L’idea è semplice: se la democrazia vuole essere partecipazione, deve raggiungere il cittadino dove esiste, non dove la procedura lo aspetta. Da qui la scelta di portare le urne dentro musei, stazioni, biblioteche, bar studenteschi, stadi e, soprattutto, carceri.

In Olanda si vota anche nelle carceri: seggi nei musei, negli stadi e perfino nei salotti di casa

La presenza delle urne negli istituti penitenziari è il tratto più identitario di questo modello. Nel carcere femminile di Ter Peel, nel sud del Paese, le detenute votano nello stesso spazio in cui si incontrano con le famiglie e partecipano alle attività quotidiane, il Bajescafé. Non è un gesto simbolico: è la traduzione pratica dell’idea che la privazione della libertà personale non cancelli la libertà politica. E non votano solo le detenute: i cittadini della zona entrano nello stesso spazio, segno di continuità tra dentro e fuori, tra punizione e appartenenza civica.

Il voto come memoria
Molti seggi sono allestiti anche in luoghi della memoria, con un significato civile ben oltre l’organizzazione pratica. Ad Amsterdam la Casa di Anna Frank apre le sue sale a chi vuole esprimere la propria scelta elettorale; lo stesso succede nel museo Van Gogh e nei siti legati alla Seconda guerra mondiale, come il Centro di Kamp Westerbork o l’Oranjehotel, l’ex prigione dei detenuti politici vicino a L’Aia. Gli organizzatori spiegano che chi vota lì può accedere gratuitamente agli spazi: un modo per ricordare, nello stesso gesto, cosa significa perdere i diritti e cosa significa poterli esercitare.

Stadi e caffè come piazze elettorali

Anche gli stadi diventano luoghi di cittadinanza. A Deventer i tifosi dei Go Ahead Eagles votano direttamente all’interno del loro impianto sportivo; a L’Aia gli appassionati dell’Ado Den Haag trovano l’urna tra le gradinate del WerkTalent Stadion. Non è folklore: è riduzione concreta della distanza tra appartenenza identitaria e appartenenza civica. Nei caffè universitari, come a Zwolle, il voto si apre a mezzanotte: gli studenti fanno la fila accanto al sindaco, e il rito è più comunitario che formale.

Il seggio più piccolo del Paese
Il volto più intimo del sistema è nel villaggio di Marle: settanta abitanti, un salotto privato e un seggio che esiste dal 1948. In quel giorno la casa della famiglia Westhoff diventa spazio pubblico, il tavolo del soggiorno si trasforma in cabina elettorale e la politica entra letteralmente in casa. È il contrario di un’istituzione distante: è una democrazia domestica, costruita per prossimità, non per solennità.

I pendolari e il voto che ti raggiunge
Anche per chi non vive vicino a un seggio fisso, il sistema è pensato per accesso e non per fatica. Alla stazione ferroviaria di Winterswijk le urne si aprono all’alba, così chi parte per lavoro può votare prima di salire sul treno. La logica è sempre la stessa: se il voto è un diritto, non deve trasformarsi in un ostacolo organizzativo.

Un modello che produce partecipazione
Il risultato è stabile da anni: affluenza mai sotto il 75% nelle ultime quattro tornate elettorali. Non perché gli olandesi siano “più ligi”, ma perché il sistema rimuove le barriere pratiche e simboliche. Altrove votare è uno spostamento; qui è un attraversamento naturale dei luoghi fisici della comunità. La legittimazione non è ottenuta per dovere, ma per vicinanza.

La filosofia sottostante
Il voto olandese non difende la procedura, ma il principio. Non chiede formalismo, chiede presenza. Mettere le urne nei carceri non è gesto decorativo: è dire con i fatti che il legame tra individuo e Stato sopravvive anche dove la libertà è limitata. Portarle nei musei significa ricordare che la democrazia nasce dalla memoria, non dalla consuetudine. Portarle negli stadi e nei bar significa riconoscere dove si costruisce davvero identità collettiva.

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