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Quando una bravata ti costa la vita: la tragedia di Verona e il disagio nascosto dei nostri ragazzi

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Quando una bravata ti costa la vita: la tragedia di Verona e il disagio nascosto dei nostri ragazzi
È accaduto ancora. Un ragazzo di 19 anni, a Verona, folgorato sul tetto di un treno merci. Una morte istantanea, brutale, che si è consumata in pochi secondi sotto gli occhi increduli di chi, quella notte, era lì per divertirsi, per ballare, per sentirsi vivo. Invece la vita l’ha persa per sempre, nella maniera più assurda e ingiusta. Una “bravata”, come viene liquidata nei primi commenti, ma che non è solo questo. È il segnale di un malessere profondo, di una generazione che troppo spesso sfida la morte per sentirsi parte di qualcosa.

Quando una bravata ti costa la vita: la tragedia di Verona e il disagio nascosto dei nostri ragazzi

Secondo le ricostruzioni degli investigatori, il giovane si sarebbe arrampicato sul vagone di un treno merci fermo nei pressi di una discoteca, probabilmente per realizzare un video, per compiere un gesto eclatante, forse per stupire gli amici, forse per esorcizzare l’ansia del sabato sera. Non sapeva, o non ha voluto sapere, che la linea elettrica sopra la sua testa trasportava una scarica di 3.000 volt. È bastato avvicinarsi troppo, senza neppure toccarla, per essere attraversato dalla corrente e cadere a terra senza vita.

L’intera scena si è consumata nel buio della notte, ma il vero blackout era dentro: nella percezione del pericolo, nell’assenza di un limite, nella fragilità di un’età che non conosce confini tra gioco e tragedia.

La sfida continua all’adrenalina

Non è la prima volta. Gli archivi della Polizia Ferroviaria parlano chiaro: negli ultimi tre anni si è assistito a un aumento costante di incidenti ferroviari provocati da incursioni di giovani, spesso per scattare foto, girare video, compiere “challenge” estreme rilanciate sui social. Il bisogno di visibilità, di approvazione, di sentirsi protagonisti per un attimo, pesa più della paura. E l’infrastruttura ferroviaria diventa il palcoscenico perfetto: nascosto, vietato, pericoloso, sfidante.

C’è un filo sottile che lega la tragedia di Verona ad altri episodi simili accaduti in questi anni a Milano, Roma, Napoli: ragazzi che si arrampicano sui treni, che camminano sui binari, che sfidano la morte come fosse un gioco. Dietro, c’è un vuoto educativo, un deficit di ascolto, un bisogno di riconoscimento che troppo spesso resta inascoltato.

L’appello delle istituzioni

La morte del giovane veronese ha sollevato ondate di commozione e indignazione. Il sindaco di Verona ha parlato di «una tragedia che non può e non deve accadere», annunciando un rafforzamento dei controlli nei pressi degli scali ferroviari e un confronto con i gestori dei locali notturni. Ma la risposta non può limitarsi a qualche pattuglia in più.

Il Prefetto ha convocato un tavolo di emergenza, chiedendo alle scuole e alle famiglie un maggiore impegno educativo. La Polfer ha rilanciato la campagna di sensibilizzazione “Fermati prima”, con video e incontri nelle scuole per spiegare i pericoli invisibili della rete ferroviaria.

Tuttavia, la domanda di fondo resta aperta: perché un ragazzo di 19 anni, in una sera di festa, sente il bisogno di mettere a rischio la propria vita per un video, un applauso, un like?

Un disagio che non si vede

Dietro la cronaca, c’è un fenomeno più ampio e preoccupante: l’assenza di confini tra reale e virtuale, la difficoltà a dare senso al rischio, la ricerca compulsiva di emozioni forti per riempire un senso di vuoto che gli adulti faticano a comprendere.

Il gesto estremo di Verona non è solo un fatto di cronaca nera. È un grido di aiuto silenzioso di una generazione che vive sospesa tra l’apparenza e l’incertezza, tra la voglia di appartenere e la paura di scomparire.

Non basta etichettarla come «bravata». È tempo che adulti, istituzioni, educatori e famiglie si interroghino davvero sul perché un gioco possa costare la vita. E che inizino a ricostruire, pezzo dopo pezzo, quel senso di appartenenza e di ascolto che troppo spesso ai nostri ragazzi viene negato.
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