Vegan Day, il 59% degli italiani sta riducendo il suo consumo di carne

- di: Barbara Leone
 

Il 7,2% degli italiani si definisce vegetariano, mentre il 2,3% segue una dieta vegana. Un altro 5% afferma di aver adottato una dieta vegetariana in passato. In totale, il 9,5% degli italiani evita il consumo di carne o prodotti di origine animale, un dato in crescita rispetto al 6,6% rilevato nel 2023. È quanto emerge dal Rapporto Italia 2024 di Eurispes, pubblicato negli scorsi mesi, i cui risultati sono stati evidenziati in occasione della Giornata mondiale dei vegani che è stata celebrata lo scorso primo novembre nello stesso giorno della festa di Ognissanti. Due ricorrenze, sottolinea il WWF, che sono meno distanti di quello che può sembrare. Ormai infatti, evidenzia l’associazione, la scienza è concorde nel dimostrare come, riducendo drasticamente o, in questo caso, completamente il consumo di proteine animali dalle nostre diete (sia carne, sia derivati), si possa effettivamente guadagnare in salute. Il WWF, con la sua campagna Our Future, sottolinea anche che la salute umana non può prescindere da quella del Pianeta. Una dieta vegana può arrivare a consumare circa la metà dell’acqua dolce, produrre un quarto delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento idrico, sfruttare un quarto del suolo e avere un impatto sulla biodiversità di un terzo rispetto ad una dieta onnivora (con 100 g di carne al giorno).

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Del resto mai come oggi la dieta vegana è oggetto di una grande attenzione, come testimonia il recente boom di prodotti e alternative vegetali presenti non solo nei ristoranti, ma in ogni ambito commerciale (dall’abbigliamento, ai prodotti di pulizia della casa) andando oltre la sola dieta, fino a diventare uno stile di vita. Da uno studio europeo emerge come, sebbene la maggioranza dei consumatori europei si dichiari ancora onnivoro, sia in atto un importante cambiamento: il 51% dei consumatori di carne dichiara di stare attivamente riducendone il consumo. In questa ricerca l’Italia è risultata al primo posto in UE, insieme alla Germania, per la percentuale di persone (59%) che dichiara di mangiare meno carne. L’Italia è ai primi posti in UE anche per consumo e accettazione di proteine vegetali. Sempre secondo lo studio, la motivazione principale che spinge le persone a questa riduzione è la salute (47%), ma anche il benessere degli animali (29%) e l’ambiente (26%) hanno un ruolo importante.  Oggi, ricorda il WWF, quasi il 10% della popolazione italiana si definisce veg, con un 7% di vegetariani e un 2% che ha scelto una dieta completamente vegana. Numeri che si riflettono anche nei dati del mercato italiano degli alimenti a base vegetale, in crescita costante, nonostante l’aumento dei prezzi: le vendite al dettaglio di alimenti a base vegetale hanno raggiunto 641 milioni di euro nel 2023, con un aumento del 16% dal 2021.

“Dal Living Planet Report 2024 del WWF si evince un’analisi drammatica degli effetti del sistema alimentare globale sul Pianeta - afferma Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del WWF Italia -. L’impatto ambientale degli alimenti di origine animale è generalmente più elevato rispetto a quello degli alimenti di origine vegetale, a causa sia di processi direttamente correlati alla gestione degli animali, come ad esempio la produzione di metano da parte dei ruminanti, ma anche ammoniaca e polveri sottili, sia di processi indiretti, dovuti all’impiego di ben 2/3 dei terreni agricoli per la sola produzione dei mangimi per l’alimentazione animale, come la soia, uno dei principali responsabili della deforestazione delle zone più preziose del mondo, e l’abuso di risorse come l’acqua dolce, risorsa sempre più scarsa in molte zone del mondo. Per questo motivo – conclude Alessi - in un Pianeta in cui la popolazione è in crescita verticale, è indispensabile che il sistema alimentare globale sia sostenibile e per fare questo, i Paesi ad alto reddito devono ridurre drasticamente produzione (anche esternalizzata) e consumo di alimenti di origine animale. Anche questa è transizione giusta”.

C’è da dire che una dieta vegana bilanciata può offrire diversi benefici anche per la salute umana: tra questi una riduzione del rischio di malattie croniche come diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari. Questi vantaggi sembrano derivare da una maggiore assunzione di fibre, antiossidanti e fitonutrienti, oltre a una ridotta presenza di grassi saturi, tipicamente più elevati nelle diete onnivore e un miglioramento del microbiota intestinale. “Per ottimizzare questi benefici – sottolinea Domenicantonio Galatà, biologo nutrizionista e Presidente AINC (Associazione Italiana Nutrizionisti in Cucina) - è, però, fondamentale: seguire la stagionalità degli alimenti (frutta e verdura di stagione hanno un profilo nutrizionale più ricco); scegliere metodi di coltivazione sostenibili, come il biologico (per ridurre l’esposizione cronica a residui di pesticidi); avere un apporto adeguato di nutrienti critici, come la vitamina B12, il ferro e gli acidi grassi omega-3 (spesso meno presenti negli alimenti vegetali) Inoltre – aggiunge Galatà - anche chi non segue una dieta vegana in modo permanente può attuare un programma che incoraggia l’uso di alimenti vegetali per una settimana al mese, praticando una sorta di ‘dieta vegana a intermittenza’. Una modalità di adesione alla dieta vegana accessibile anche a chi, per salute, stagionalità o religione, si trova già ad alternare periodi di astensione da certi alimenti”.

Proprio nell’ottica di una dieta vegana a intermittenza, il WWF tiene a porre l’accento sull’importanza di incentivare forme sostenibili di allevamento del bestiame. Queste attività possono infatti consentire di ripristinare la fertilità dei terreni e conservare la biodiversità. Per un’agricoltura sostenibile è necessario riportare l’allevamento degli animali in un processo di economia circolare all’interno delle aziende agricole, dove gli animali siano cresciuti nel rispetto del loro benessere e dell’ambiente circostante. Pratiche come quella della zootecnia biologica in un’azienda agricola sono fondamentali perché permettono di ‘chiudere’ il ciclo ecologico dell’azienda. 

Del resto, evidenzia il WWF, il veganismo non riguarda solo l’alimentazione, ma include anche le scelte legate all’abbigliamento e ai prodotti di uso quotidiano. L’industria cosmetica, per esempio, fa ampio uso di prodotti di origine animale nelle sue formulazioni: cheratina, collagene, acido ialuronico, acido stearico, placenta, grassi animali sono solo alcune delle sostanze animali presenti nelle soluzioni cosmetiche. Il problema, in realtà, è che molti di questi ingredienti possono essere anche di origine vegetale o sintetica, ma non sempre le etichette fanno chiarezza su questo punto. Gelatina e colla di pesce, ricavate entrambe dalla lavorazione di tessuti connettivi animali, sono adoperate anche dall’industria farmaceutica per la produzione di medicine in capsule e altro. Molte sono le certificazioni vegan sul pack, rilasciate da organizzazioni e agenzie specializzate, che possono aiutare i consumatori a identificare e scegliere prodotti interamente plant-based. Pelle, lana, seta e piume presenti nell’abbigliamento, calzature e accessori, oltre a comportare spesso lo sfruttamento di animali, possono avere un elevato impatto ambientale. Il 20% della pelle al mondo viene acquistata dall’industria automobilistica per produrre sedili e interni di veicoli, il che rappresenta il più grande utilizzo di pelle brasiliana al mondo. La pelle è un sottoprodotto dell’allevamento del bestiame, uno dei principali responsabili della deforestazione e conversione di ecosistemi prioritari.

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