Una rete di disobbedienza civile internazionale si espande tra accademie, piazze, industrie e attivisti un po’ in tutto il mondo. È una nuova resistenza globale agli estremisti alla Casa Bianca.
(Foto: infografica sulla disobbedienza civile contro il governo estremista di Trump)
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Non sono più solo cortei o hashtag: la risposta alle politiche del presidente statunitense, nel suo secondo mandato, ha assunto i tratti di una disobbedienza globale organizzata. È una mobilitazione diffusa, reticolare, che attraversa continenti, settori e classi sociali. La novità è il metodo: una resistenza che si esprime nei comportamenti quotidiani, nel rifiuto sistematico di collaborare con le istituzioni trumpiane, nella creazione di alternative dal basso.
Stati Uniti: la resistenza cambia forma. Settanta campus universitari si ribellano.
Se durante il primo mandato Trump aveva acceso le piazze, oggi è nelle strutture profonde della società americana che si consuma il conflitto. Nelle università, nei consigli comunali, nei laboratori di ricerca, nelle assemblee sindacali.
In oltre 70 campus, dal Massachusetts alla California, intere facoltà hanno votato il ritiro da programmi federali accusati di “servire finalità politiche repressive”. Il MIT, storica roccaforte dell’innovazione scientifica, ha cancellato la partecipazione a un progetto sul riconoscimento biometrico destinato al DHS (Department of Homeland Security). “Non collaboreremo con tecnologie di sorveglianza etnica”, ha dichiarato la rettrice Adele Rosenthal.
I lavoratori pubblici – in particolare nel settore dell’istruzione, della sanità e della giustizia – stanno adottando pratiche di non cooperazione silenziosa, rifiutando di eseguire ordini in contrasto con la Costituzione o i diritti fondamentali. Il sindacato National Nurses United ha denunciato le nuove norme anti-aborto imposte negli ospedali federali, definendole “atti di violenza istituzionale”.
L’Europa si organizza: boicottaggi, festival, municipalismo
In Europa la risposta è lucida, politica e articolata. A Barcellona e a Berlino si moltiplicano le alleanze tra movimenti ambientalisti, sindacati, reti femministe e ONG. Alcune città, come Amsterdam e Bologna, hanno ufficialmente adottato mozioni nei propri consigli comunali per dichiararsi “Trump-free”: niente fondi, collaborazioni o delegazioni con entità legate alla nuova amministrazione USA.
Nel mondo culturale, il rifiuto è altrettanto netto. Al Festival del Cinema di Berlino dieci registi hanno ritirato le proprie opere in segno di protesta contro la presenza della US National Endowment for the Arts tra i partner. Alla Biennale di Venezia, gli artisti americani hanno firmato un manifesto in cui definiscono Trump “un usurpatore di umanità”.
Il fronte sindacale europeo non è da meno: la Confederazione europea dei sindacati (CES) ha avviato una campagna per sospendere gli accordi commerciali con gli Stati Uniti finché non saranno rispettati standard minimi su diritti del lavoro, ambiente e giustizia sociale.
Medio Oriente e Asia: la disobbedienza è sopravvivenza
In Afghanistan, Iraq e Siria, le ONG denunciano una “politica di disumanizzazione attiva” da parte degli USA. Trump ha ordinato l’intensificazione dei raid aerei contro obiettivi “non dichiarati”, e diverse organizzazioni per i diritti umani si rifiutano ormai di condividere informazioni con le autorità americane.
A Kabul, l’associazione femminile RAWA ha dichiarato: “Non collaboreremo mai con chi tratta il nostro paese come un campo di tiro”. In Pakistan, la Digital Rights Foundation ha smesso di ricevere finanziamenti dall’ambasciata USA per protestare contro l’uso propagandistico dei programmi di cybersicurezza.
Nel Sud-Est asiatico, le manifestazioni contro Trump sono spesso connesse alle lotte contro l’estrattivismo e le basi militari americane. A Okinawa, gli studenti occupano da settimane l’area destinata all’ampliamento della base di Futenma.
America Latina: la dignità come bandiera
In Messico, il secondo mandato Trump ha riaperto ferite mai rimarginate. Dopo l’estensione del muro e il reinserimento della “Migration Protection Protocol”, decine di città hanno dichiarato l’emergenza umanitaria. ONG come Las Patronas hanno rilanciato le reti clandestine di aiuto ai migranti, ignorando le minacce di Washington. “Aiutare chi fugge non è illegale, è umano”, ha detto la fondatrice Norma Romero in un’intervista alla TV pubblica.
A Buenos Aires, Santiago e Bogotá si tengono assemblee pubbliche settimanali per coordinare azioni legali contro i crimini ambientali legati alle multinazionali americane che operano nella regione. È il “Tribunale popolare delle Americhe”, un progetto promosso da giuristi indipendenti che accusa Trump di ecocidio e neocolonialismo.
Tecnologie, finanza e spiritualità: le forme inedite della ribellione
Anche nel settore privato emergono pratiche inedite di disobbedienza. Il fondo etico norvegese GlobalAct ha ritirato investimenti da 14 aziende statunitensi collegate alla filiera carceraria e militare. In Silicon Valley, un consorzio di piccole imprese ha firmato il “Manifesto dei 100”, impegnandosi a non partecipare a progetti di sorveglianza o censura per il governo federale.
Persino alcune comunità religiose – mormoni, cattolici progressisti, buddisti giapponesi – hanno aderito a campagne di obiezione morale. Non pregano per Trump. Pregano contro la sua visione del mondo.
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Una nuova resistenza globale, senza leader e senza confini
Questa disobbedienza civile diffusa ha una caratteristica unica: non ha un quartier generale, né un volto unico. È decentralizzata, autonoma, auto-organizzata. Si muove su canali paralleli, tra TikTok e Telegram, nei campus come nei comuni, tra attivisti radicali e funzionari pubblici. E per la prima volta nella storia recente, è una resistenza che non chiede il permesso.
Come ha scritto la sociologa nigeriana Ifeoma Okechi sul Guardian Africa: “Non stiamo assistendo a un’onda di indignazione. Stiamo vedendo la nascita di una cultura politica transnazionale: consapevole, plurale, disobbediente. Ed è più forte di quanto Trump non immagini.”