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Trump rompe con l’Unesco: “Agenda woke e anti-Israele”

- di: Jole Rosati
 
Trump rompe con l’Unesco: “Agenda woke e anti-Israele”
Gli Usa si ritireranno dall’agenzia Onu nel 2026. Parigi reagisce, Israele applaude. L’Unesco: “Accuse infondate”. Si riapre la sfida con la Cina.

L’amministrazione Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Unesco, l’agenzia culturale dell’Onu con sede a Parigi, entrando formalmente in vigore il 31 dicembre 2026. Si tratta del terzo “addio” nella storia americana: dopo Reagan nel 1984 e lo stesso Trump nel 2017, invertito da Biden nel 2023.

America first, di nuovo

La portavoce del Dipartimento di Stato Tammy Bruce ha motivato la decisione: “l’Unesco promuove cause sociali e culturali divisive – woke – e un’agenda globalista contrastante con gli interessi nazionali americani”. Inoltre, il riconoscimento del “lo Stato di Palestina” tra i membri, ritenuto “contrario alla politica statunitense”, avrebbe intensificato la retorica anti-israeliana.

Reazioni da Tel Aviv e Parigi

Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha accolto con favore la decisione, parlando di “passo necessario per garantire un trattamento equo a Israele nelle Nazioni Unite”.

Sul fronte opposto, la direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay si è detta “profondamente rammaricata”, evidenziando come l’organizzazione, rafforzata dopo il ritiro del 2017, stia ora attingendo solo per l’8 % dal contributo Usa, grazie a una rete diversificata di partner. Ha inoltre rivendicato i successi nel contrasto all’antisemitismo e nell’educazione all’Olocausto, lodati da istituzioni Usa e comunità ebraiche.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito il “sostegno indefettibile” di Parigi per l’agenzia, definita “protettore universale della scienza, dell’educazione, del patrimonio e dell’oceano”, mentre il ministro degli Esteri ha evidenziato l’impegno su oceani, IA e lotta all’odio religioso.

Dai precedenti… all’effetto finanziario

  • 1984 (Reagan): gli Usa si ritirano per presunti sprechi finanziari e bias politici.
  • 2003 (Bush): ritorno dopo riforme organizzative.
  • 2017–18 (Trump I): abbandono su accuse di anti-israelismo.
  • 2023 (Biden): rientro strategico per contenere l’influenza cinese.
  • 2025 (Trump II): secondo addio. L’8 % del budget Unesco proviene dagli Usa, contro il 20 % del 2017, con un impatto contenuto ma simbolicamente pesante.

Un’analisi dell’istituto FDD – Foundation for Defense of Democracies sostiene che il ritiro sia una scelta “giusta”, in linea con l’obiettivo di evitare di “buttare dollari in un’agenzia corrotta e anti-occidentale”. Opinione non unanime a Washington: associazioni come l’American Jewish Committee e autorità locali – inclusi deputati repubblicani e democratici – hanno lanciato appelli a mantenere gli Usa dentro l’Unesco per difendere il patrimonio culturale e rafforzare l’educazione, ma le argomentazioni non hanno modificato l’esito.

L’Unesco “post-Usa”?

Secondo Azoulay, l’organizzazione ha già risposto con una svolta strutturale e finanziaria. Riforme, fondi privati e contributi di altri Stati avrebbero assicurato la continuità dei programmi, con la creazione di sedi creative, progetti scientifici, programmi per l’educazione delle ragazze e la ricostruzione di Mosul.

Il timore resta nel lasciar campo libero alla Cina, che punta a potenziare la propria influenza culturale e scientifica all’interno delle istituzioni Onu.

Ennesimo colpo agli organismi multilaterali

Con la firma dell’ordine esecutivo – seguita da una revisione condotta da Rubio lo scorso febbraio – Trump ha inferto l’ennesimo colpo agli organismi multilaterali. L’uscita formale entro dicembre 2026 sembra simbolica, ma segna una svolta dura, destinata ad avere conseguenze sul futuro della diplomazia culturale americana.

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