Il presidente rilancia accuse infondate: “Pagate per gli endorsement”. Ma i registri ufficiali lo smentiscono. È il solito show per distrarre da Epstein.
Ci risiamo: Donald Trump torna ad attaccare le sue nemiche preferite, con un copione ormai stanco ma pericolosamente efficace. In un post pubblicato su Truth Social, il presidente degli Stati Uniti ha chiesto che vengano perseguite penalmente Kamala Harris, Beyoncé, Oprah Winfrey e Al Sharpton, accusandole di aver ricevuto compensi milionari in cambio del loro appoggio durante la campagna presidenziale democratica del 2024. Ma, ancora una volta, manca ogni prova. Tutto è stato già bollato come “falso”.
Accuse a effetto, prove inesistenti
Secondo Trump, Beyoncé avrebbe ricevuto 11 milioni di dollari per un endorsement a un evento a Houston, Oprah 3 milioni, Sharpton 600.000 dollari. “Non è consentito pagare per un endorsement, è totalmente illegale”, ha scritto il tycoon, rilanciando la richiesta di aprire procedimenti penali.
Ma la realtà è un’altra. I registri della Federal Election Commission mostrano un unico pagamento di 165.000 dollari da parte del comitato di Kamala Harris alla società Parkwood Entertainment, di proprietà di Beyoncé. La causale? “Produzione evento campagna Houston”. Non un compenso personale. Per Oprah risulta un contratto con Harpo Productions per la trasmissione in diretta di un evento, e per Sharpton un supporto logistico tramite la sua organizzazione non profit.
Nessuna traccia di pagamenti diretti per endorsement, né tantomeno delle cifre sparate da Trump.
Una strategia collaudata: colpire, distrarre, infangare
L’ennesima offensiva trumpiana ha il sapore della distrazione calcolata. Come già accaduto in passato, il presidente attacca celebrità afroamericane e avversari politici nel momento in cui l’attenzione pubblica torna a concentrarsi su temi scottanti per lui, come il caso Epstein e i documenti ancora secretati.
La strategia è evidente: offendere, polarizzare, spostare il dibattito, magari evocando la giustizia penale come strumento politico. È lo stesso metodo usato quando aveva chiesto di indagare Taylor Swift per “attività politica non dichiarata” e Bruce Springsteen per “abuso di immagine pubblica”, anche quelle accuse finite nel nulla.
Le reazioni: “Presidenza o reality show?”
Sui social, la pioggia di reazioni è stata immediata. “Ancora fake news presidenziali”, scrive un ex consulente democratico. “Trump non è un capo di Stato, è un algoritmo impazzito”, ha twittato il giornalista americano Jonathan Capehart. Il comitato di Kamala Harris ha definito le accuse “ridicole e pericolose”. Nessuna risposta, finora, da Beyoncé o Oprah.
Nel frattempo, si segnala che l’offensiva mediatica di Trump sta preparando il terreno per una nuova ondata repressiva contro media, cultura e opposizione in vista della convention repubblicana di agosto.
Lo spettro dell'autoritarismo si fa più concreto
Non è solo spettacolo. Il linguaggio usato da Trump – “devono essere processate”, “hanno violato la legge”, “abbiamo bisogno di giustizia” – sposta l’asse della politica americana verso una deriva autoritaria. E non è la prima volta. Già nei mesi scorsi, il presidente aveva attaccato i giudici federali, l’FBI, e minacciato ritorsioni contro i giornalisti scomodi.
Questo nuovo episodio non è un’uscita folkloristica, ma un tassello di una strategia sistematica: colpire simboli della cultura pop e della leadership femminile e afroamericana per cementare il consenso della base, radicalizzare lo scontro e spostare il dibattito dai problemi reali (giustizia, economia, diritti civili).
Oggi Beyoncé, domani chi?
L’uso delle istituzioni per colpire gli avversari, la criminalizzazione dell’attività politica e culturale, l’invenzione di reati senza prove: tutto questo non è politica normale. È il preludio a un modello in cui la giustizia viene usata come arma e la realtà viene piegata alla narrativa del potere.
E mentre Trump urla ai “pagamenti illegali”, la verità resta inchiodata ai numeri ufficiali: nessuna prova, nessuna infrazione, solo il solito Trump show. Ma un reality che, a differenza della tv, può far danni molto reali.