L’iniziativa di Trump scuote Washington: via i racconti sul passato, dentro il mito americano. Ma storici e difensori dei diritti. scendono in campo.
Trump accende la miccia culturale
Donald Trump ha lanciato una nuova offensiva contro i musei considerati troppo focalizzati sugli aspetti più dolorosi della storia americana. In un post su Truth Social, ha definito i musei del Smithsonian “gli ultimi baluardi del wokeismo” e “fuori controllo”, accusandoli di concentrarsi solo su come “orribile era il nostro Paese, quanto fosse tragica la schiavitù” e di ignorare “successo, luce e futuro”.
In quell’occasione, ha annunciato che i suoi legali avrebbero avviato una revisione degli allestimenti nei musei, replicando la stessa procedura già applicata alle università, dove – secondo lui – “sono stati compiuti immensi progressi”.
Il contesto politico: da marzo un piano ormai in atto
Questa nuova mossa si inserisce in una strategia iniziata già a marzo, quando Trump firmò l’Executive Order 14253, intitolato Restoring Truth and Sanity to American History (), volto a “rimuovere ideologie improprie” dagli spazi museali gestiti dal governo, e a ripristinare simboli patriottici ritenuti cancellati o alterati negli ultimi anni.
Ad agosto, una lettera ufficiale indirizzata a Lonnie G. Bunch III, segretario dello Smithsonian, ha imposto una revisione completa del contenuto espositivo — testi, comunicazioni digitali e didascalie — affinché celebrino l’eccezionalismo americano ed eliminino narrazioni considerate “divisive o ideologiche”, entro 120 giorni.
Schieramenti contrapposti: reazioni e controffensive
Il piano presidenziale ha suscitato reazioni immediate nel mondo culturale: storici e difensori dei diritti civili avvertono del rischio di censura storica e revisione ideologica. Ad esempio, la storica Annette Gordon-Reed ha definito le direttive come un significativo pericolo per la libertà d’insegnamento e il rigore storiografico.
Intanto, il Smithsonian — pur ricevendo fondi federali — opera con autonomia gestionale attraverso un Board of Regents e un Segretario, il che solleva dubbi legali sull’ingerenza politica diretta.
In risposta alle pressioni, il Museo Nazionale di Storia Americana ha già modificato la didascalia relativa ai due impeachment di Trump, attenuandone i toni critici e rendendola più neutrale — un chiaro segnale della tensione tra autonomia curatoriale e sovrintendenza politica.
Oltre Washington: musei locali in allerta
In alcune realtà, la stretta di Washington ha spinto istituti locali a rafforzare la propria tutela storica. Un esempio significativo viene dal Michigan: il museo The Henry Ford ha ricostruito la Jackson Home, sede strategica delle attività per i diritti civili del 1965, a protezione della sua memoria contro il clima odierno di revisionismo.
Il senso di un attacco sistematico
L’azione contro il Smithsonian non è isolata. Fa parte di un attacco più ampio a iniziative di diversity, equity, inclusion (DEI), cristallizzatosi già a gennaio 2025 con l’Executive Order 14151, che ha ordinato la cancellazione o il congelamento di tutti i programmi DEI nelle agenzie federali. Il Dipartimento della Pubblica Istruzione, ad esempio, è stato messo sotto pressione per chiudere e redistribuire le sue funzioni, alla stregua di un generale disegno politico volto a riscrivere le istituzioni culturali ed educative.
Storia in bilico tra luce e controllo
L’assalto di Trump ai musei “woke” non è solo l’ennesimo capitolo della guerra culturale statunitense: rappresenta l’ennesimo fronte di una strategia sistematica per riscrivere il racconto nazionale, privilegiando narrazioni unificanti e patriottiche a scapito della pluralità storica. Il tempo per il cambiamento è scandito: 120 giorni per riscrivere la memoria esposta al pubblico.