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Toyota punta sull’America: 10 miliardi per le batterie USA

- di: Marta Giannoni
 
Toyota punta sull’America: 10 miliardi per le batterie USA
Toyota investe 10 miliardi negli USA per le batterie EV
Nuova gigafactory in North Carolina, 5.100 posti di lavoro e un maxi piano di investimenti che lega auto elettriche, ibride e geopolitica dei dazi.
 
(Foto: Kōji Satō, Ceo di Toyota).

Toyota accelera negli Stati Uniti. Il gruppo giapponese ha avviato la produzione nel nuovo impianto di batterie a Liberty, in North Carolina, e annuncia fino a 10 miliardi di dollari di ulteriori investimenti nel Paese nei prossimi cinque anni, portando il suo impegno complessivo sul mercato americano a circa 60 miliardi di dollari. Al centro della mossa c’è una fabbrica che vale da sola circa 13,9 miliardi e che è destinata a diventare uno dei poli chiave della transizione elettrica del marchio.

Un investimento che ridisegna la strategia americana

Il nuovo sito di Liberty è il primo stabilimento di batterie di Toyota al di fuori del Giappone e l’undicesimo impianto produttivo del gruppo negli Stati Uniti. L’investimento complessivo, cresciuto nel tempo rispetto ai piani iniziali, punta a dotare la casa di un hub industriale stabile e flessibile per alimentare l’intera gamma di veicoli elettrificati: ibridi tradizionali, plug-in e a batteria pura.

A regime, la fabbrica dovrebbe arrivare a una capacità di circa 30 GWh all’anno, con 14 linee di produzione dedicate a diverse tipologie di celle. Le batterie usciranno dalla North Carolina per finire sotto i pianali di modelli chiave del mercato americano, dalle berline alle SUV, fino al futuro SUV elettrico a tre file che Toyota vuole costruire negli USA.

Il nuovo maxi investimento fino a 10 miliardi in cinque anni, annunciato contestualmente all’avvio dello stabilimento, non riguarda solo la fabbrica di Liberty: il gruppo vuole avere margine per aggiornare impianti esistenti, ampliare la capacità e adeguare la propria offerta alle diverse traiettorie della transizione energetica nordamericana.

Liberty, cuore elettrico del Sud industriale

Il sito di Liberty si estende su circa 1.850 acri, una piccola città dell’energia che impiega e impiegherà fino a 5.100 persone fra operai specializzati, tecnici e personale di supporto. L’impianto è concepito come una gigafactory integrata: diversi edifici dedicati alle varie fasi della produzione – dalla lavorazione dei materiali alla formazione delle celle, fino all’assemblaggio dei moduli e dei pacchi batteria.

Nel disegnare il progetto, Toyota ha insistito molto sul legame con il territorio. Sono previsti servizi interni come asili aziendali, strutture sanitarie e programmi di benessere per i dipendenti, oltre a una serie di iniziative per la formazione scientifica e tecnica nelle scuole locali. Il costruttore ha messo sul piatto finanziamenti aggiuntivi per progetti educativi in due distretti scolastici della regione, collegando in modo diretto la fabbrica al capitale umano del territorio.

Non è solo una questione di immagine: in un mercato del lavoro molto competitivo, le aziende che vogliono assumere migliaia di addetti altamente specializzati devono rendere attrattivi i propri stabilimenti, puntando su welfare, training continuo e percorsi di crescita interna.

Tariffe, geopolitica e il vantaggio di produrre negli USA

L’espansione americana di Toyota non si gioca solo sul terreno industriale, ma anche su quello politico-commerciale. Negli ultimi anni le relazioni commerciali fra Washington e Tokyo sono state attraversate da ondate di dazi e contro-dazi, culminate con l’innalzamento delle tariffe statunitensi sulle auto giapponesi fino al 27,5% e, più di recente, con la riduzione al 15% concordata in un nuovo accordo bilaterale.

La tariffa è comunque ben più alta rispetto al passato e ha un effetto immediato sul conto economico dei costruttori giapponesi. Secondo le stime diffuse negli ultimi mesi, i maggiori gruppi nipponici hanno dovuto mettere in conto decine di miliardi di dollari di costi aggiuntivi legati ai dazi. In questo contesto, produrre direttamente sul suolo statunitense diventa un modo per mitigare il rischio tariffario, avvicinare la produzione ai clienti e beneficiare, quando possibile, degli incentivi federali e statali legati alla produzione domestica di batterie e veicoli elettrificati.

L’idea che auto assemblate negli impianti americani possano poi essere esportate in altri mercati – incluso quello giapponese – non è più fantascienza. Per Toyota, che vende ben oltre 10 milioni di veicoli l’anno a livello globale, avere una base produttiva flessibile negli Stati Uniti significa riorganizzare la geografia industriale in funzione di dazi, costi delle materie prime e stabilità delle catene di fornitura.

Perché Toyota insiste su ibride e plug-in

La mossa di Liberty non rappresenta un ripensamento verso un futuro fatto solo di auto a batteria. Anzi, il gruppo continua a scommettere su quella che definisce una strategia “multi-pathway”, cioè un mix di tecnologie: ibride, ibride plug-in, elettriche pure e idrogeno.

Negli ultimi anni Toyota è stata spesso accusata di ritardo sulle elettriche a batteria e di aver puntato troppo a lungo sulle ibride, arrivando anche a contestare alcune normative che spingevano verso l’azzeramento delle emissioni allo scarico. Allo stesso tempo, però, la domanda mondiale ha dato una mano alla casa giapponese: la corsa all’auto 100% elettrica ha rallentato, mentre le ibride registrano vendite da record e, in alcuni mercati, liste d’attesa molto lunghe per i modelli più richiesti.

La dirigenza del gruppo ha ribadito più volte che, a suo giudizio, puntare solo sui veicoli completamente elettrici non è realistico né sul piano delle infrastrutture né su quello dell’occupazione. In più occasioni è stato sottolineato come un passaggio brusco al full-electric rischierebbe di mettere in discussione milioni di posti di lavoro legati ai motori tradizionali e alle rispettive filiere.

In questo quadro, l’impianto di Liberty è progettato per servire in parallelo ibridi, plug-in e futuri modelli a batteria. Toyota vuole essere in grado di spostare capacità produttiva dall’una all’altra tecnologia in base a ciò che chiedono i consumatori, a come cambiano gli incentivi pubblici e all’evoluzione del costo delle materie prime per le batterie, dal litio al nichel.

La fabbrica delle batterie e i modelli che ne beneficeranno

Le batterie prodotte in North Carolina riforniranno diversi impianti del gruppo negli Stati Uniti, a partire dagli stabilimenti di assemblaggio in Kentucky e in Alabama, dove Toyota costruisce modelli chiave per il mercato nordamericano. Fra i veicoli che dovrebbero beneficiare del nuovo flusso di celle agli ioni di litio figurano berline e SUV ibridi di grande serie, oltre al già citato SUV elettrico a tre file pensato per famiglie numerose e per il segmento premium mainstream.

Per il costruttore, questo significa perseguire un obiettivo molto concreto: aumentare il contenuto di valore prodotto localmente. Più componenti fondamentali – come le batterie – vengono realizzati negli USA, più diventa facile per i modelli Toyota accedere ai crediti d’imposta previsti dalle norme americane sull’energia pulita e, allo stesso tempo, si riduce la dipendenza da fornitori esteri in un settore estremamente sensibile come quello delle celle.

Posti di lavoro, formazione e filiera locale

L’elemento occupazionale è uno dei tasselli più visibili del progetto Liberty. Toyota stima fino a 5.100 posti di lavoro diretti, ai quali si sommeranno migliaia di impieghi nell’indotto: fornitori di componenti, logistica, servizi. Attorno ad ogni nuova gigafactory, negli ultimi anni, si sono sviluppati ecosistemi industriali composti da piccole e medie imprese che forniscono materiali, macchinari, manutenzione, engineering.

La casa giapponese ha inoltre avviato programmi di formazione dedicati ai giovani del territorio, in collaborazione con scuole e college locali, con l’obiettivo di creare una pipeline di tecnici e ingegneri specializzati nella produzione di batterie e sistemi di gestione elettronica. La sfida, per Toyota come per gli altri colossi dell’auto, è trovare competenze che spesso non esistono ancora in quantità sufficiente sul mercato del lavoro tradizionale.

Non meno importante è la questione energetica: l’azienda ha messo l’accento sull’obiettivo di utilizzare energia rinnovabile per alimentare la fabbrica e ridurre così l’impronta di carbonio del ciclo produttivo, uno dei punti più critici nella valutazione ambientale complessiva dei veicoli elettrificati.

La concorrenza globale e il confronto con la Cina

L’apertura della fabbrica di Liberty va letta anche in chiave di competizione globale. Il mercato mondiale delle auto elettriche ed elettrificate è dominato da poli regionali in forte concorrenza: Stati Uniti, Europa e soprattutto Cina, dove costruttori locali hanno conquistato quote di mercato grazie a prezzi aggressivi e a un ecosistema di batterie altamente integrato.

Per Toyota, rafforzare la produzione americana di batterie significa non lasciare campo libero ai rivali sia locali sia cinesi, che stanno aumentando la propria presenza negli USA attraverso partnership e progetti di investimento. La scelta di puntare su ibride e plug-in, oltre che su elettriche pure, è anche un modo per differenziarsi rispetto ai marchi che hanno scommesso quasi tutto sul full-electric.

Allo stesso tempo, il gruppo deve fare i conti con la perdita di terreno in alcune regioni, a partire dalla Cina, dove i costruttori nazionali di auto elettriche hanno approfittato della strategia più prudente delle aziende giapponesi. Rafforzare la base industriale in Nord America è un modo per bilanciare i rischi geografici e concentrarsi su un mercato dove la domanda di ibride resta molto forte.

Cosa cambia per la transizione energetica

Il progetto di Liberty racconta bene la fase della transizione energetica che stiamo vivendo. Da un lato, i governi spingono sull’elettrificazione, introducendo obiettivi di riduzione delle emissioni sempre più stringenti. Dall’altro, la realtà di mercato mostra un quadro più sfumato: molti consumatori sono attratti dall’elettrico, ma restano frenati da prezzi d’acquisto elevati, autonomia percepita e infrastrutture di ricarica ancora insufficienti in diverse aree.

Toyota cerca di posizionarsi nel mezzo: investe miliardi in batterie e veicoli elettrici, ma allo stesso tempo continua a spingere su ibride e plug-in come soluzione ponte per ridurre le emissioni senza chiedere al cliente un salto nel buio. La gigafactory di Liberty, con la sua capacità di servire più tecnologie diverse, è la materializzazione industriale di questa strategia.

Se il piano funzionerà, la casa giapponese potrà vantare un vantaggio competitivo in un mondo in cui la domanda di elettrificato crescerà a velocità diverse da Paese a Paese. Se invece le policy e il mercato dovessero spostarsi con decisione verso il full-electric, l’impianto nord-caroliniano potrà riconvertirsi in gran parte alla produzione di celle per modelli a batteria pura.

Perché questa mossa conta anche per l’Europa (e per l’Italia)

Anche se il nuovo impianto è dall’altra parte dell’Atlantico, le scelte di Toyota negli Stati Uniti hanno ricadute globali. Una maggiore disponibilità di batterie e componenti sviluppati su larga scala può, nel medio termine, ridurre i costi e favorire la diffusione di nuove generazioni di veicoli elettrificati anche in Europa.

Al tempo stesso, l’espansione di capacità negli USA spinge i costruttori a confrontarsi con il tema della sovraccapacità globale: se ogni grande regione costruisce le proprie gigafactory, il rischio è quello di un eccesso di offerta in caso di rallentamento prolungato della domanda. Per ora, però, la priorità dei gruppi come Toyota resta chiara: assicurarsi, prima degli altri, l’accesso a batterie sufficienti, affidabili e prodotte “in casa” per affrontare la prossima fase della transizione dell’auto.

La partita, in altre parole, è appena iniziata. Ma con la scelta di puntare forte su Liberty e sugli Stati Uniti, Toyota manda un segnale preciso: la corsa all’elettrificazione non è una linea retta, bensì un percorso fatto di più strade parallele. E chi saprà tenere aperte più opzioni, senza farsi travolgere dagli estremismi tecnologici, potrebbe trovarsi nella posizione migliore quando il mercato avrà davvero deciso dove andare.

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