Sanae Takaichi, in foto con Anna Maria Bernini, Ministro dell'Università e Ricerca
Il protocollo è sempre lo stesso: voto alla Camera bassa, indicazione al Palazzo Imperiale, l’imperatore che conferma. Ma questa volta il copione si incrina: al centro della scena c’è una donna, ed è la prima volta nella storia del Paese. Sanae Takaichi, 64 anni, nazionalista dichiarata, guida il Giappone in un momento di debolezza politica e di grande esposizione internazionale. Ci arriva senza la maggioranza assoluta e con un Partito Liberal Democratico ferito dai suoi stessi scandali.
Tokyo, la prima volta di una premier donna: chi è Sanae Takaichi e perché divide il Giappone
Chi immagina un cambiamento culturale immediato resterà deluso. Takaichi è conservatrice, radicata nell’ala più rigida dell’Ldp. La sua vittoria non nasce da un’ondata popolare: nasce da un calcolo parlamentare. Lo storico alleato Komeito ha lasciato la coalizione e lei ha dovuto accordarsi con il Japan Innovation Party, un centro-destra riformista, pragmatico più che ideologico. È un’alleanza che funziona come stampella numerica, non come visione comune.
Eppure l’immagine che arriva all’esterno è di rottura: un Paese dove le donne sono ancora rarissime ai vertici politici ora ha una premier. Takaichi sa che questo simbolo potrebbe diventare un’arma narrativa preziosa, soprattutto all’estero.
La tempesta arriva dall’interno
Il Giappone è in una fase di fragilità che non si vedeva da anni. Il governo è stato risucchiato da scandali finanziari e da un logoramento silenzioso: l’idea che il Ldp governi “per inerzia” ha cominciato a incrinarsi. Takaichi eredita un partito con meno consenso, un’opposizione più vivace del previsto e un elettorato irritato dal senso di impunità delle élite.
Prima ancora che leader internazionale, dovrà diventare pompiere domestico. Ristabilire fiducia, mettere ordine nel partito, dimostrare che può governare senza dover negoziare ogni settimana la propria sopravvivenza numerica.
E ora l’America osserva
L’agenda diplomatica è immediata e ingombrante: tra pochi giorni arriverà a Tokyo il presidente americano Donald Trump. L’incontro servirà a misurare la postura internazionale della nuova premier. Washington considera il Giappone un pilastro dello scacchiere indo-pacifico, soprattutto nel contenimento cinese. Cina che resta allo stesso tempo il primo partner commerciale di Tokyo. La linea sottile su cui la premier dovrà muoversi è questa: sicurezza con gli Stati Uniti, ma economia con Pechino, senza che l’uno si trasformi in ultimatum per l’altro.
Il test in arrivo è doppio: verso fuori, credibilità geopolitica. Verso dentro, dimostrare che una leader così identitaria può essere anche affidabile per i mercati e per l’industria tecnologica nazionale.
La politica come fisarmonica: si stringe e si allarga
Il vero rischio è strutturale: con una maggioranza costruita per necessità, ogni passaggio parlamentare diventa una partita a scacchi. Il Japan Innovation Party è utile numericamente ma è anche competitivo elettoralmente nei centri urbani, cioè in quella parte di società che sta lentamente scivolando fuori dall’orbita tradizionale dell’Ldp. Se i rapporti si irrigidiscono, il governo si indebolisce. Se i rapporti si ammorbidiscono, il partito di Takaichi rischia di consegnare spazio politico ai suoi nuovi alleati.
È questa la cornice in cui lei ha promesso di “ricostruire il Giappone e rafforzare l’economia per le generazioni future”. Ma il messaggio più immediato non è programmatico: è biografico. La prima premier donna ha l’occasione di usare il proprio simbolo come leva politica. Oppure di scivolare nel ruolo di transizione tecnica che serve solo a superare la crisi dell’Ldp.
La partita è appena iniziata, ma già è chiaro che la domanda non sarà “chi è Sanae Takaichi”, bensì “che cosa diventerà, ora che è al vertice”. Perché per la prima volta, nella politica giapponese, normalizzare una donna al potere potrebbe essere la cosa più radicale di tutte.