La nuova strage di migranti riporta indietro l'orologio del dolore

- di: Redazione
 
Un morto o forse alcune decine, non cambia nulla perché, quando il tragico contatore dei migranti morti nel tentativo di arrivare per mare nel nostro Paese riprende a correre, non c'è spiegazione o giustificazione che tenga per un Occidente (nell'accezione di luoghi dove si vive meglio rispetto ai tanti inferni del mondo) che non riesce a trovare soluzioni a questo dramma.
Che poi accada nelle stesse acque della strage di Cutro è cosa che dovrebbe indurre a riflessioni profonde e anche spietate, perché significa che il ripetersi di queste tragedie non insegna nulla, riproponendosi un terrificante copione che vede tanti partire, ma non sempre gli stessi a riuscire a coronare il loro sogno. Né può cambiare, nella percezione che abbiamo di queste vicende, il fatto che altri, di cui forse non si avrà notizia, sono sempre a rischio quando intraprendono il loro cammino verso l'Europa sapendo di dovere avventurarsi nell'inferno di sabbia del Sahara, in balia dei trafficanti e, quindi, di quelli che, dalla costa del Nord Africa, ma anche della Turchia, ''garantiscono'' un approdo sicuro in Italia.

La nuova strage di migranti riporta indietro l'orologio del dolore

Le notizie giunte poche ore fa dallo Jonio, come tutte quelle che riguardano tragedie in mare, rischiano di essere imperfette perché i sopravvissuti riferiscono circostanze e numeri difficili da verificare. Ma, ripetiamo, anche se i morti in mare fossero il 10 o anche il 5 per cento o meno, non possiamo non avere pietà per le vittime, solidarietà con i sopravvissuti e stupore per il ripetersi di simili accadimenti.
E quindi dobbiamo chiederci, perché non possiamo moralmente esimerci dal farlo, se esistono soluzioni degne di tale nome, se è ancora possibile fermare l'opera di aggiornamento dell'elenco delle tragedie che restano tali anche se non conosciamo il numero esatto delle vittime. Il rischio reale è che le parole che si accavallano e che scatenano, come al solito, violente polemiche restino un semplice esercizio retorico che certifica l'incapacità del nostro Paese (di oggi, di ieri e ieri l'altro) a trovare e mettere in atto strumenti efficaci per fermare questo rosario di morti che non hanno sepoltura.

O, quand'anche vengono recuperati in mare cadaveri di migranti che non ce l'hanno fatta, spesso non c'é un nome da scrivere su una tomba nei cimiteri del nostro Sud che, meritoriamente, li accolgono, senza chiedere nulla in cambio e dispensando solo pietà.
I tanti piani che si sono formulati, le decine di milioni di euro (forse anche miliardi) dispensati ai Paesi di partenza che nulla hanno fatto per fermare i flussi di clandestini, le promesse e gli ammonimenti si sono, inesorabilmente, tramutati in nulla. E anche l'ultima carta, un ''piano Mattei'' apprezzabile per finalità, ma poco definito nella sua potenziale efficacia, appare come un tentativo di creare una coscienza comune tra Paesi di origine dei migranti, quelli di partenza e quelli di approdo.

Mentre l'estate spiana la strada a condizioni meteorologiche che aiuteranno i trafficanti di esseri umani a fare il pieno di disperati sui loro barconi, l'Italia sta ad aspettarli, non potendo fare altrimenti se non mandare uomini in divisa a raccattare cadaveri nei nostri meravigliosi mari.
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