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Sofia passa all’euro: svolta storica tra speranze e timori

- di: Matteo Borrelli
 
Sofia passa all’euro: svolta storica tra speranze e timori
Sofia passa all’euro: svolta storica tra speranze e timori
Dalla moneta nazionale al simbolo europeo: economia, politica e proteste.

Dal primo gennaio la Bulgaria entra ufficialmente nell’eurozona. Il lev va in pensione e Sofia diventa la ventunesima capitale europea dove un caffè si paga in euro. Un passaggio che, sulla carta, promette stabilità e integrazione, ma che sul terreno reale divide profondamente il Paese più povero dell’Unione Europea.

Le nuove monete manterranno simboli identitari – figure religiose, richiami storici, riferimenti patriottici – ma la vera trasformazione riguarda la vita quotidiana. Cambiano prezzi, percezioni e orizzonti politici, in un momento già segnato da fragilità istituzionale e tensioni sociali.

Perché l’euro arriva ora

In realtà, il legame tra Bulgaria ed euro è tutt’altro che improvviso. Dopo la devastante iperinflazione degli anni Novanta, il lev era stato ancorato prima al marco tedesco e poi direttamente alla moneta unica. Di fatto, la politica monetaria era già sotto l’ombrello della Banca centrale europea, senza però poter incidere sulle decisioni.

Come ha spiegato l’economista Georgi Angelov in diverse interviste rilasciate a media internazionali tra novembre e dicembre 2025, “con l’euro la Bulgaria entra finalmente nella stanza dei bottoni, partecipando alle scelte dell’unione monetaria”.

I benefici attesi: crescita, turismo e meno costi

Secondo la Bce, i vantaggi economici sono concreti e misurabili. A dicembre 2025 la presidente Christine Lagarde ha ribadito che l’euro porterà scambi commerciali più fluidi, finanziamenti meno cari e maggiore stabilità dei prezzi. Le imprese bulgare, stando alle stime dell’istituzione, risparmieranno circa 500 milioni di euro l’anno solo in commissioni di cambio.

Un altro settore chiave è il turismo, che vale circa l’8% del Pil nazionale. L’eliminazione del rischio di cambio e la maggiore fiducia internazionale potrebbero dare una spinta decisiva a un comparto già strategico.

Sul fronte dell’inflazione, la Bce prevede rincari contenuti e temporanei, tra lo 0,2 e lo 0,4%, destinati a riassorbirsi rapidamente.

La paura dei prezzi e lo scetticismo popolare

Le rassicurazioni, però, non convincono tutti. Anzi. Quasi un bulgaro su due avrebbe preferito restare al lev, secondo i dati dell’Eurobarometro diffusi nell’autunno 2025. Il timore principale è quello già visto in altri Paesi: arrotondamenti verso l’alto e aumento del costo della vita.

I numeri alimentano l’ansia. L’istituto statistico nazionale ha certificato che a novembre 2025 i prezzi al consumo erano superiori di circa il 5% rispetto all’anno precedente. Il tutto a fronte di uno stipendio medio che supera di poco i 1.200 euro mensili, come ricordato dal Guardian in un’analisi pubblicata a dicembre.

Per questo il parlamento di Sofia ha varato organismi di controllo con poteri ispettivi sugli aumenti dei prezzi, nel tentativo di prevenire speculazioni e calmare l’opinione pubblica.

Una scelta economica, ma anche geopolitica

L’adozione dell’euro non è solo una questione di portafoglio. È una scelta di campo. Avvicina ulteriormente la Bulgaria all’Occidente e la allontana dall’influenza di Mosca, in un’area dove le tensioni geopolitiche restano fortissime.

Non a caso, le proteste contro la moneta unica sono state sostenute e amplificate dall’estrema destra filorussa. Il partito nazionalista “Revival” ha guidato manifestazioni e scontri istituzionali, arrivando a bloccare i lavori parlamentari dopo il via libera europeo arrivato a giugno 2025.

Secondo diversi osservatori politici bulgari, citati dalla stampa locale e internazionale tra estate e inverno, ogni difficoltà nella fase iniziale dell’euro potrebbe diventare benzina per una campagna apertamente antieuropea.

Instabilità politica e futuro incerto

Il tutto avviene in un contesto politico estremamente fragile. La Bulgaria è reduce dalla caduta di un governo conservatore travolto da scandali e inchieste anticorruzione e rischia di andare verso le ottave elezioni in cinque anni.

La stabilità istituzionale diventa quindi la vera sfida. Come ha sottolineato ancora Angelov in un commento di fine dicembre, “servirebbe almeno un governo solido per uno o due anni, così da sfruttare davvero i benefici dell’ingresso nell’eurozona”.

Una condizione tutt’altro che scontata, in un Paese dove la moneta unica è insieme promessa di futuro e detonatore di conflitti. 

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