Il segretario del Consiglio di Sicurezza russo ed ex ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha dichiarato che “i test nucleari non si sono mai fermati in nessun Paese dotato di queste armi, nemmeno per un’ora”. Un’affermazione che arriva poche ore dopo l’annuncio del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di voler riprendere i test nucleari fisici, interrotti da decenni. Shoigu ha precisato che le esercitazioni attuali “si svolgono su modelli matematici e simulazioni computerizzate” e che “nessun test fisico è stato condotto”, ma le sue parole hanno immediatamente suscitato reazioni internazionali e interrogativi sul reale stato dei programmi atomici russi.
Shoigu: "I test nucleari non si sono mai fermati"
Secondo Shoigu, “le potenze nucleari non hanno mai smesso di testare le proprie armi, ma lo hanno fatto nel campo della tecnica di calcolo, sviluppando modelli e algoritmi sempre più sofisticati”. In pratica, le nuove tecnologie informatiche permettono di simulare le esplosioni atomiche in modo realistico, testando gli effetti delle detonazioni e l’affidabilità delle testate senza ricorrere a esperimenti fisici nel sottosuolo. “Questo approccio – ha spiegato l’ex ministro – consente di mantenere la prontezza operativa degli arsenali senza violare i trattati internazionali o causare danni ambientali.”
Le dichiarazioni sembrano voler sottolineare il primato tecnologico della Russia nel campo della deterrenza strategica e rispondere alle parole di Trump, che aveva motivato la sua decisione con la necessità di “garantire la superiorità e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti in un mondo in rapido cambiamento”.
Trump rilancia la corsa ai test
Il presidente americano, parlando dalla Casa Bianca, ha infatti annunciato l’intenzione di autorizzare una nuova serie di test nucleari sotterranei nel Nevada, “per assicurare che l’arsenale americano resti il più potente e affidabile del mondo”. La decisione segna una svolta significativa rispetto alla politica di moratoria che gli Stati Uniti avevano rispettato sin dal 1992. “Non possiamo fidarci delle simulazioni quando la nostra sicurezza è in gioco”, ha detto Trump, suscitando immediate critiche da parte di organizzazioni internazionali e di alcuni alleati europei.
Il Pentagono ha già predisposto un piano preliminare per test di piccola scala, mirati a valutare la stabilità delle testate e la capacità di risposta dei nuovi sistemi di comando. L’annuncio, tuttavia, ha sollevato il timore di un effetto domino: se Washington riprenderà i test, è probabile che anche Mosca e Pechino faranno lo stesso, segnando la fine definitiva di ogni tentativo di contenimento nucleare.
Reazioni e tensioni globali
Le parole di Shoigu, arrivate in questo contesto, sono state interpretate come un segnale politico più che tecnico. “Dire che i test non si sono mai fermati equivale a dichiarare che la corsa agli armamenti è viva e continua, anche se in forme diverse”, ha commentato un analista del Carnegie Moscow Center. “È un messaggio rivolto tanto agli Stati Uniti quanto al mondo intero: la Russia è pronta e vigile.”
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha ribadito che “qualsiasi attività che possa essere interpretata come una violazione del Trattato sulla messa al bando totale dei test nucleari (CTBT) rischia di compromettere decenni di progressi nella non proliferazione”. Dal canto suo, la Cina ha espresso “preoccupazione per l’inasprimento della competizione strategica tra Washington e Mosca” e ha invitato entrambe le potenze “a evitare azioni che possano destabilizzare l’equilibrio globale”.
Una sfida tra potenze e algoritmi
Dietro la retorica dei test “virtuali” si nasconde una competizione tecnologica serrata. Gli Stati dotati di arsenali nucleari utilizzano supercomputer e intelligenze artificiali per calcolare la resa delle testate, la dispersione radioattiva e la resistenza dei materiali. Si tratta di esercitazioni teoriche ma fondamentali per garantire la sicurezza e l’affidabilità dell’arsenale. “Le simulazioni moderne – spiegano fonti del complesso militare -industriale russo – permettono di ottenere risultati persino più precisi dei test reali, senza violare i trattati e senza generare radiazioni”.
Tuttavia, la ripresa dei test fisici annunciata da Trump rischia di azzerare questa distinzione. “Se gli Stati Uniti torneranno a sperimentare nel deserto del Nevada, sarà difficile per la Russia e la Cina restare ferme”, ha affermato un funzionario dell’ONU. “E in quel caso, assisteremmo a un ritorno agli anni Ottanta, con tutte le conseguenze politiche e ambientali che ne derivano.”
Equilibri atomici e diplomazia congelata
Negli ultimi anni, i principali trattati di controllo degli armamenti sono entrati in crisi: dal ritiro degli Stati Uniti dal Trattato INF, alla sospensione del New START, fino all’erosione del CTBT, mai entrato pienamente in vigore. L’ipotesi di una nuova stagione di test riaccende timori globali e complica il già fragile equilibrio tra le grandi potenze.
In questo scenario, le parole di Shoigu suonano come un avvertimento: la deterrenza nucleare non è mai cessata, si è solo trasformata. E la decisione di Trump di tornare ai test reali potrebbe innescare una reazione a catena.
Un futuro di ombre e calcoli
La tecnologia, un tempo alleata della sicurezza, rischia ora di alimentare una nuova corsa alla superiorità strategica. Nelle sale di comando dei supercomputer di Mosca, Washington e Pechino, le simulazioni di esplosioni atomiche scorrono ininterrotte, invisibili ma reali.
Shoigu lo ha detto con brutalità: “Non si sono mai fermati, nemmeno per un’ora”. Una frase che fotografa perfettamente il nuovo mondo della deterrenza digitale, dove la pace si misura in calcoli, algoritmi e promesse che possono svanire in un click.