Sardegna: la vittoria di Alessandra Todde accentua le frizioni nel Centro-destra

- di: Redazione
 
Sarà stata pure una manciata di voti a dividere il ''vincitore designato'', che poi non ha vinto nulla, e l'outsider, che poi tanto sfavorita non era. Fatto sta che oggi Alessandra Todde si gusta la vittoria, alle regionali della Sardegna, mentre per altri - guardando allo schieramento avversario, quello guidato da Giorgia Meloni - è già cominciata una disamina del voto, che rischia di essere devastante, quasi una sanguinosa resa dei conti.
Perché in gioco non c'era solo la successione all'uscente presidente, Christian Solinas, sardista, ma ''adottato'' dalla Lega di Salvini e sacrificato sull'altare di Truzzu, ma la solidità di un sistema che, dall'insediamento del governo Meloni, vede il presidente del consiglio dettare tempi e modi della coalizione, forte dell'affermazione elettorale e del consenso, sino a ieri riconosciutole da tutti.

Sardegna: la vittoria di Alessandra Todde accentua le frizioni nel Centro-destra

Ieri, per l'appunto.
La mancata elezione del suo candidato porta oggi il premier a dovere riconsiderare parecchie cose.
La prima delle quali è che il modello che lei vuole imporre agli alleati (''le roi c'est moi'', o, per meglio dire, ''la reine c'est moi'') rischia di non essere accettato perché una sconfitta, anche se in campo locale, ne ha offuscato la fama di ''invincibile''.
C'è poi anche da aggiungere lo smacco di vedere, come primo partito dell'Isola, il Pd, che lei, anche in occasione dell'ultimo comizio unitario a sostegno di Truzzu, ha trattato quasi come un organismo agonizzante, unendo in questo giudizio anche i Cinque Stelle.

Per quel comizio, Giorgia Meloni ha ritirato fuori il repertorio che l'ha resa vincente, dall'opposizione, tra ammiccamenti e ricorso a faccine e vocine, quasi a volere sottolineare la distanza di comportamento con gli avversari, trattati alla stregua di bambini lamentosi.
Quello su cui oggi Meloni e il suo inner circle dovranno ragionare non sono le modalità dell'appoggio a Truzzu, quanto il fatto che sia stato scelto proprio lui a correre per la Regione, pur sapendo che il sindaco uscente di Cagliari anche nella città che amministrava non era ben visto.

Anzi, come dimostrato dai voti raccolti da Todde nel capoluogo, esattamente il contrario.
La scelta di Truzzu, quindi, quasi una prova di forza di Meloni nei confronti degli alleati, giustificata dall'enorme distanza di consenso, ma che ne ha relativizzato ruolo e peso politico.
Sarò stata l'eccessiva sicurezza che ha mostrato in campagna elettorale gli ha nuociuto troppo; saranno state alcune ingenuità (come il tatuaggio ''Trux'', su un braccio, pericolosamente simile ad una crasi tra il suo cognome e quel 'Dux' che ancora fa presa nei nostalgici del fascismo). Ma Truzzu è probabilmente incorso in quello che, in politica, è il più esiziale degli errori: sottovalutare l'avversario oppure sopravvalutare forza e compattezza della propria coalizione.

E qui il discorso deve necessariamente cadere su quanto è accaduto dentro il centro-destra che, se oggi si lecca le ferite, non può certo dire di essere arrivato al voto con tutta la sua potenza di fuoco elettorale.
Perché, nel momento in cui dici no all'uscente, mortificando la Lega, non puoi certo aspettarti che il movimento un tempo indipendentista faccia l'alleato sino in fondo. Che poi Lega e Salvini siano stati umiliati, in termini di esiguità di percentuali e per essere stati doppiati da Forza Italia, incancrenirà l'astio, con effetti che oggi sono difficili da prevedere, con un potenziale effetto domino in altre Regioni.
Perché sarà ben difficile che Salvini, visto il risultato sardo, si senta meno abilitato a pretendere che il candidato del centro-destra per la Basilicata non sia espresso dalla Lega. E qui si aprirà il fronte interno, perché intorno al presidente uscente, Bardi, Forza Italia alzerà barricate. Con uno sguardo lontano, alla fine del mandato di Luca Zaia, in Veneto.
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