Sanità: la Calabria paga per colpe che non sono (solo) sue
- di: Diego Minuti
Chiunque oggi volesse scrivere sulla Calabria e sulla marea di eventi dolorosi che si abbatte, come fosse una devastante mareggiata, ciclicamente sulle sue meravigliose coste e non ne avesse la capacità o l'ispirazione, dovrebbe andare a leggere alcune delle pagine che solo un calabrese come Corrado Alvaro, scevro da provincialismi o campanilismi, poteva avere il coraggio di scrivere sulla sua regione.
La Calabria, lo dico solo per chi non la conosce nella sua essenza vera, che non è quella che spesso viene creata artificiosamente, nel bene o nel male, è terra in cui la bellezza si mischia alle disperazione, che ha visto i suoi borghi spopolati e presidiati solo dai suoi vecchi, che ha visto la sua "meglio gioventù" lasciarla nella consapevolezza che era l'unico passo da fare per continuare ad alimentare sogni per il futuro.
Oggi, però, la Calabria torna all'attenzione dei media per una vicenda, il commissariamento della sua disastrata sanità pubblica, che tinge di ridicolo non i responsabili, ma una intera regione per colpe che non le appartengono.
Quasi che la Calabria si debba prendere la responsabilità per l'operato di commissari che venivano da fuori e che, nelle intenzioni di chi li aveva nominati, avrebbero dovuto mettere a posto il verminaio di un settore che, per troppi anni, si è alimentato - mai come ora la frase è assolutamente pertinente - sulla pelle della gente.
Ma, nonostante la evidente e perniciosa commistione di interessi pubblici con quelli (alcuni, ma che sembrano essere a tutti conosciuti) privati, questa opera di depurazione non è riuscita nei fatti e la sanità pubblica calabrese sembra essere rimasta il cesto di serpenti alla cui pulizia dovevano sovrintendere i commissari.
Tanto che oggi la Calabria è etichettata come regione sanitariamente pericolosa per responsabilità che non possono essere addebitate alla sua gente. Che però è la prima ad essere coinvolta direttamente nelle misure adottate dal governo nell'ambito dell'emergenza Covid-19. Misure che, probabilmente, saranno nel giro delle prossime ore ampliate rispetto alle quattro originarie regioni, ma che non spostano il cuore del problema.
La Calabria è esattamente come il resto d'Italia: ha delle eccellenze in campo sanitario, sia nelle persone che nelle strutture. Se per reggere il delicato ruolo di commissario si scelgono soggetti non calabresi è come se si sostenesse che, nella regione, non c'è uno straccio di manager, di dirigente sanitario che sia immune dal sospetto d'essere un raccomandato (e che quindi ha fatto carriera per connivenze e spintarelle) o, peggio, colluso. Con chi, non spetta a noi dirlo, pur se qualche sospetto si può nutrire.
Ma per i padroni del vapore, quelli che hanno nominato i commissari, le colpe ricadono non tanto su chi le ha determinate, ma su chi - i calabresi - ne paga oggi le conseguenze.
Partendo dal presupposto che ciascuno fa il suo mestiere, le decisioni prese dai vari governi, che hanno scelto di commissariare prima e, dopo, di continuare a farlo - da oltre dieci anni - la sanità pubblica in Calabria, dovrebbero indurre ora l'esecutivo nazionale ad una riflessione di metodo ancor prima di merito.
Il metodo dovrebbe essere quello di individuare (in Calabria o no) il commissario tra le eccellenze della gestione sanitarie, persone che, come la moglie di Cesare, non possono nemmeno essere sfiorate da alcun sospetto.
Il merito si dovrebbe sostanziare in una riconosciuta capacità non di affrontare i problemi della sanità pubblica in Calabria, quanto di aggredirli. Se non conoscessi la Calabria, per avervi vissuto e lavorato moltissimi anni e mi dovessi formare un giudizio da quel che vedo in televisione, sarei scettico sulla capacità della regione (non l'ente, ma proprio la Calabria) di uscire da questo girone dantesco, dove tutti gridano, strepitano, si difendono chiamando in causa questo o quello.
E, lo dico per esperienza, quando si determinano contingenze come quella di questi giorni, c'è sempre qualcuno che, per giustificare le proprie debacle, chiama in causa nell'ordine: i poteri forti, la massoneria, la 'ndrangheta. Che c'entreranno, probabilmente, ma che non giustificano il contenuto di interviste o interventi che sembrano avere come radice comune un eccessivo ricorso all'alcol. E in questo mare periglioso guazzano pesci assolutamente innocui che nuotano in dieci centimetri d'acqua e che tirano fuori la testa sperando solo che qualcuno dia loro ascolto. Si tratta dei 'soliti noti' che gridano, urlano, lanciano anatemi e sfidano per poi acquetarsi poggiandosi sul fondo, in attesa di potere riprendere i loro show alla prima occasione utile