Cronache dai Palazzi - Sulle candidature è bagarre nella maggioranza. Salvini lotta per sopravvivere allo strapotere di FdI
- di: Redazione
Ci sono degli schemi che, inevitabilmente, si ripropongono in politica. Come, ad esempio, la scelta dei posti intorno al desco del potere e, quindi, l'ambizione di conquistare quello di capotavola.
E' sempre accaduto e, a meno di una rivoluzione culturale che oggi appare lontanissima, sempre accadrà, perché è nella logica della politica volere ampliare la base del consenso e, se questo non è possibile, almeno conservare quello che si ha.
Quindi non deve certo sorprendere che il confronto (viene da sorridere pensando al significato reale del termine) intorno alle prossime scadenze elettorali per le Regioni sia molto acceso.
Lo spettacolo che ci stanno riservano i partiti della maggioranza di governo è il solito e, dietro questioni meramente formali, nasconde ambizioni e timori.
Le ambizioni sono quelle di Fratelli d'Italia che, in questo delicato argomento, sta gettando tutto il peso politico attuale, che è ben diverso da quello di appena pochi anni fa, quando il partito di Giorgia Meloni non aveva conquistato lo status di protagonista assoluto, che oggi gli consente di fare delle richieste che appaiono molto vicine a ultimatum.
Sulle candidature è bagarre nella maggioranza
I timori sono di chi, alleato di Fratelli d'Italia, intravede un processo di cannibalizzazione dentro i ranghi della maggioranza, dove il partito di Giorgia MeIoni veste i panni del pigliatutto, a Roma e altrove.
ll casus belli apparentemente è costituito dalle imminenti (in febbraio) elezioni in Sardegna, il cui governatore uscente, Christian Solinas, gode del pieno, totale, incondizionato sostegno di Matteo Salvini che ne reclama la riconferma.
L'assioma ''Solinas deve restare perché è il migliore'' è tale solo agli occhi della Lega, perché Fratelli d'Italia, grazie alla forza del consenso, aspira ad avere, alla guida della Regione, un suo uomo, individuato in Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari che, visti i tempi strettissimi, domani ufficializzerà la sua discesa in campo, di fatto mettendo in un angolo Matteo Salvini che, davanti alla pervicacia di Meloni, deve uscire da una situazione che lo indebolisce.
Quindi sono cominciate, e non da oggi, le schermaglie che devono pure portare da qualche parte perché un mancato accordo (o un accordo solo di facciata) per la Lega sarebbe foriero di conseguenze impensabili fino a poco tempo fa, perché oggi Salvini e il suo cerchio magico hanno di fronte non un presidente del consiglio neonominato e quindi prudente, ma un capo di partito che vede Fratelli d'Italia continuare a volare nei sondaggi, alzando la sua autostima e con essa la voglia di capitalizzare i risultati.
Una piccola circollocuzione per dire che Giorgia Meloni vuole vedere riconosciuto il suo ruolo, anche se, quando è stata varata la coalizione di governo, i presupposti erano diversi. Il presidente del consiglio gioca sul sicuro (con i consensi che, secondo tutti i sondaggi, mettono Fratelli d'Italia intorno al 29/30 per cento) e quindi può chiedere quel che, appena un anno fa, non avrebbe chiesto e quindi poco le importano le bizze di un Salvini che sembra non capire - o forse lo ha capito sin troppo bene - che una trattativa sulle candidature e il terzo mandato dei presidenti di Regione lo fiaccherebbe sin oltre le sue attuali forze.
La stessa decisione di Salvini di non candidarsi come capolista alle europee deve essere decrittata politicamente.
Perché, al di là dello strombazzato obiettivo di volere sorpassare in voti i Cinque Stelle, se la Lega dovesse restare laddove è oggi, non capitalizzando il suo essere il secondo partito del governo e detenere deleghe molto ''redditizie'' in termini di consenso, per Salvini sarebbe qualcosa di molto vicino ad una sconfitta. Una cosa che qualcuno potrebbe rinfacciargli, contestandogli una conduzione del partito disegnata solo sulle sue convinzioni, che non sono necessariamente le stesse dei rappresentanti della Lega sul territorio.
Una lettura maliziosa della proposta della Lega di abbattere il limite dei due mandati per i presidenti di Regione potrebbe fare pensare che, se passasse e quindi Luca Zaia restasse alla guida del Veneto, Salvini avrebbe un concorrente in meno dentro casa.
Nel domino delle candidature, tra richieste e ultimatum, nessuno resta escluso. Quindi anche Forza Italia deve guardarsi le spalle perché il ''suo'' presidente della Lucania, Vito Bardi, sarebbe nel mirino della Lega.