Intervista a Ruth Dureghello

- di: Germana Loizzi
 

Presidente della Comunità ebraica di Roma da giugno 2015. È una imprenditrice, ma preferisce definirsi una “brava mamma ebrea”. Una voce sicura che svela immediatamente una forte personalità e una grande passione per quello che fa. Sono al telefono con Ruth Dureghello.

Quali sono i valori della vostra comunità ebraica e come vi proponete di diffonderli?
“Bellissima domanda, quante pagine abbiamo a disposizione? La religione ebraica è certamente la prima delle religioni monoteiste e porta con sé quindi oltre 5.000 anni di storia. Proprio stasera, festeggeremo l’arrivo del 5.778° anno di vita del popolo ebraico e di tutto ciò che esso rappresenta. La nostra religione è ispirata alla Torah, i primi 5 libri della Bibbia, l’antico testamento, partendo dai Dieci Comandamenti. Il passaggio fondamentale è che alcune leggi sono state date direttamente da Dio. Leggi sante che abbiamo la responsabilità di portare su di noi e di rispettare, ma anche di condividere poi con tutti gli altri. Da qui il ragionamento ovviamente si estende a tutto lo studio e l’approfondimento che nei secoli e nei millenni il mondo ebraico ha fatto sui tanti temi che ci vedono coinvolti, questo attraverso il Talmud ed attraverso gli studi rabbinici. Un interrogarsi costante sul mondo e sulle cose, senza un approccio di tipo dogmatico, ricercando le radici profonde di quello che si fa nel quotidiano e impegnandosi per migliorare sempre. I temi sociali sono uno degli aspetti più importanti, poi c’è il rispetto della terra, del mondo e dell’altro. Penso alla ricchezza della diversità, cioè avere sempre ben chiaro che il confronto tra punti di vista differenti è soltanto motivo di crescita e giammai un impoverimento. Questo si realizza tramite una partecipazione attiva alla vita civile, come la Via Pacis, la prima maratona interreligiosa, come anche l’incontro tra il Papa e il Rabbino capo nelle Sinagoghe o le tante manifestazioni sotto il profilo religioso che vedono la presenza di tavoli condivisi. Lo facciamo anche con una serie di manifestazioni pubbliche nelle quali la comunità è presente, non ultimo il Festival della Letteratura, così come la Giornata della Cultura Ebraica, un altro dei momenti cardine della vita comunitaria, e lo facciamo anche con momenti specifici di memoria condivisa. La memoria è uno degli elementi fondamentali della nostra identità, guardiamo sempre al passato per vedere ciò che siamo e ciò che è stato, affinché gli errori del passato non si ripetano.

Un tema attuale e complesso di questi ultimi anni è l’immigrazione. Come valuta questo fenomeno che alcuni definiscono “allarmante”?
Il fenomeno è sicuramente attuale, l’allarmismo però non è insito nel tema. Secondo me è soltanto una lettura fatta da coloro che non hanno la capacità di gestire il fenomeno o da chi, peggio, ancora lo vuole strumentalizzare. Ricordiamo sempre che “schiavi noi fummo in terra d’Egitto”, che è uno dei passi più importanti nell’Antico Testamento. Noi per primi conosciamo la tragedia non soltanto della schiavitù, ma anche dell’esilio, e potrei citare anche la diaspora di Roma, la fuga dai Pogrom della Russia nei primi del ‘900 e ancora la fuga dai paesi arabi. Conosciamo bene la storia che porta a fuggire, fa parte della nostra memoria. E non possiamo guardare, se non con sofferenza, alle persone che oggi fuggono dai loro paesi in preda alla guerra, alle discriminazioni, ai bisogni. Da qui si apre un secondo aspetto, il più delicato: come attivarsi affinché quella che è l’accoglienza non sia però motivo di ulteriore sofferenza, ma diventi il via libera ad una integrazione, come gli ebrei hanno saputo fare da millenni nei vari paesi in cui si sono insediati. Uno dei valori fondamentali è il rispetto del paese all’interno del quale si risiede: questa è la prima condizione per arrivare ad una integrazione vera. Il tema centrale è come predisporre tutti gli strumenti utili affinché le persone che fuggono dai propri paesi possano vivere una vita migliore, garantendo il rispetto delle leggi. Non mi spaventano i migranti, anche perché noi italiani abbiamo una tradizione di migrazione lunghissima e sarebbe assurdo dire che è un problema solo perché ora riguarda qualcun altro.

Quali sono le sue opinioni riguardo al tema “sicurezza”?
Non sono migranti le persone che hanno compiuto atti terroristici come a Nizza, Parigi, Londra. Occorre porre attenzione alle generalizzazioni e alle strumentalizzazioni. Il mondo comunque sta affrontando un cambiamento radicale. Il processo di globalizzazione impone dei flussi migratori importanti. È necessario predisporre per tempo tutti gli strumenti utili per affrontare questa situazione e non permettere a nessuno di sfruttare questo tema per riproporre ideologie del passato. Vale la pena anche intervenire nei paesi di provenienza per prestare aiuti sul posto, il che vuol dire anche fare dei controlli di sicurezza nei paesi di origine, approntare dei corridoi umanitari che siano seguiti dall’inizio alla fine, impedire che la malavita si approfitti dei bisogni di queste persone e si inneschi un meccanismo perverso non accettabile.

Come ridefinire il concetto di sicurezza? Come reagire alla paura?
Oggi è chiaro che la sicurezza è un tema mondiale che riguarda ciascuno di noi. Fino a pochi anni fa era soltanto un problema degli ebrei e degli obbiettivi ebraici in Italia e nel mondo. Non posso dimenticare l’attentato alla Sinagoga dell’82, così come Tolosa o Bruxelles. La lista infinita di luoghi e persone che soltanto perché ebree sono state attentate e uccise. Oggi la sicurezza è un tema di tutti. Ma di fronte alla minaccia, si risponde con la vita. La cosa peggiore che si può fare è quella di chiudersi o nascondersi o peggio rinnegare chi si è e cosa si ha. Il messaggio che vogliamo mandare è che la vita prosegue, che si continuano a fare festival, manifestazioni pubbliche, si continua ad andare nelle sinagoghe a pregare, al ristorante Kosher a mangiare, così come devono fare tutti i cittadini. E’ un esempio che viene da Israele che conosce ormai questo tipo di terrorismo da molto tempo”.

Per quanto riguarda i rapporti col Vaticano, avete delle iniziative in comune? Progetti?
“I Rapporti col Vaticano sono quotidiani e abbiamo ricevuto proprio ultimamente gli auguri del Papa, che è sempre molto attento. Recentemente è stato presentato un documento del Congresso Europeo Rabbinico a Papa Francesco su alcuni punti di convergenza delle due confessioni religiose, per continuare in quel lavoro di dialogo che 50 anni fa Giovanni Paolo II e il Rabbino Toaff iniziarono nella Sinagoga di Roma. Le occasioni sono quasi quotidiane, dalla Maratona Via Pacis, che è stata una iniziativa del Vaticano alla quale abbiamo partecipato con piacere, ai tavoli interreligiosi che oramai lavorano in forma permanente su alcuni temi, dalla Conferenza Episcopale Italiana e i suoi rappresentanti, alla grandissima mostra sulla Menorah, che rappresenta il primo progetto comune tra il Museo della Comunità Ebraica di Roma con i Musei Vaticani, un’iniziativa dall’alto profilo culturale e simbolico con una parte espositiva nel Braccio di Carlo Magno dei Musei Vaticani e un’altra  nel Museo Ebraico di Roma.
Non posso non menzionare Sant’Egidio. Sono tra i nostri amici più cari, sempre vicini nelle commemorazioni e celebrazioni, ma anche sempre referenti per un confronto utile sui temi che ci riguardano. Certo, i pregiudizi sono sempre difficili da scalzare o dimenticare, ma vi sono segnali più che percepibili di un rapporto che è cambiato e sta cambiando e si poggia ora su basi sicuramente diverse da quelle del secolo scorso”.

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