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Riforma dell’edilizia, sanatoria e caso Milano: cosa cambia

- di: Bruno Legni
 
Riforma dell’edilizia, sanatoria e caso Milano: cosa cambia
Riforma dell’edilizia, sanatoria e caso Milano: cosa cambia
Via libera al nuovo Codice dell’edilizia: tra abusi storici, silenzio-assenso rafforzato e accuse di “golpe contro il territorio”.

Il Consiglio dei ministri ha approvato la legge delega che affida al governo il compito di riscrivere il Testo unico dell’edilizia (Tue) e di varare il nuovo Codice dell’edilizia e delle costruzioni. Nelle intenzioni dell’esecutivo è la svolta attesa da oltre vent’anni per semplificare iter, sbloccare cantieri e ridurre contenziosi. Per le opposizioni, invece, è l’ennesima tappa di una lunga stagione di condoni, un “nuovo Salva Milano” pronto a estendere a tutta Italia il modello che ha incendiato la battaglia urbanistica sul capoluogo lombardo.

Al centro dello scontro politico e tecnico ci sono tre parole chiave: sanatoria degli “abusi storici”, silenzio-assenso e potere dei Comuni nel governo del territorio.

Cosa c’è nel nuovo Codice dell’edilizia

Con il via libera del 4 dicembre, il governo ottiene una delega di 12 mesi per scrivere i decreti legislativi che daranno forma al nuovo Codice. Al momento, dunque, siamo davanti a una cornice di principi, non alle norme operative che professionisti, imprese e cittadini si troveranno sulle scrivanie.

Gli obiettivi dichiarati sono molti e ambiziosi:

  • semplificazione delle procedure edilizie, con un riordino dei titoli abilitativi (Cila, Scia, permesso di costruire) in un sistema più lineare;
  • digitalizzazione dei procedimenti, per ridurre tempi, incertezze e passaggi cartacei;
  • superamento della frammentazione regionale, con un quadro di regole nazionali più omogeneo, oggi spesso spezzettato in 20 declinazioni diverse;
  • razionalizzazione dei controlli e dei rapporti tra amministrazioni, in particolare tra Comuni, Regioni e organi giudiziari;
  • un forte rilancio del principio di silenzio-assenso, come rimedio all’“immobilismo burocratico” e alle autorizzazioni che non arrivano mai.

Nella relazione che accompagna il disegno di legge, il governo insiste sulla necessità di fornire al settore regole “chiare e certe” per evitare “zone grigie” normative che hanno alimentato ricorsi, sequestri, inchieste e stop improvvisi ai cantieri.

La sanatoria per gli “abusi storici”: cosa significa davvero

Il punto più sensibile è la previsione di una sanatoria facilitata per gli abusi edilizi definiti “storici”, cioè quelli realizzati prima dell’entrata in vigore della cosiddetta legge ponte del 1967. In molte aree del Paese, soprattutto nei piccoli Comuni, esistono ancora oggi edifici costruiti o ampliati in quegli anni senza titoli formali, ma da decenni abitati, compravenduti, tassati.

Il disegno di legge apre la porta a una regolarizzazione più rapida, superando la logica della “doppia conformità” (cioè il rispetto delle regole sia al momento della realizzazione che oggi), che ha reso impossibile sanare molti interventi risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta.

Ed è qui che scatta la doppia narrazione:

  • per il governo si tratta di una “pace edilizia” mirata su situazioni vecchie di mezzo secolo, per dare certezza ai cittadini e far emergere le irregolarità nella legalità;
  • per le opposizioni è una nuova stagione di condoni, il tassello successivo al decreto Salva casa del 2024, che aveva già ampliato le tolleranze costruttive e reso più semplice mettere in regola verande, piccoli ampliamenti e modifiche interne.

Il ministero delle Infrastrutture, guidato da Matteo Salvini, prova a smorzare le polemiche sottolineando che la legge delega “non interviene sugli abusi del passato” nel senso di un condono generalizzato, ma si limita a fissare criteri per distinguere fra irregolarità sanabili e abusi gravi. Il dettaglio, però, sarà scritto solo nei decreti: ed è lì che si giocherà la partita vera.

Silenzio-assenso potenziato: l’arma contro la “burocrazia bloccante”

Un altro pilastro della riforma è il rafforzamento del silenzio-assenso per il rilascio o la formazione dei titoli edilizi. Se l’amministrazione non risponde entro i termini, il titolo si intende assentito.

L’obiettivo dichiarato è colpire quella che Salvini definisce da tempo “burocrazia bloccante”, che costringe cittadini e imprese ad aspettare mesi o anni per permessi che, in teoria, dovrebbero essere rilasciati in poche settimane. Nella visione del Mit, tempi certi e regole standardizzate dovrebbero attrarre investimenti e ridurre il contenzioso.

Per gli urbanisti più critici, però, l’estensione del silenzio-assenso in un settore complesso come l’edilizia rischia di tradursi in una delega implicita agli operatori privati, soprattutto negli interventi più rilevanti: se il Comune non riesce a controllare nei tempi, l’edificio passa comunque.

Il fantasma del “caso Milano” e il modello Salva Milano

La riforma nasce esplicitamente anche alla luce del “caso Milano”, la lunga vicenda dei grattacieli realizzati con Scia e deroghe urbanistiche finiti nel mirino della magistratura penale e contabile. Il braccio di ferro tra Comune, Tar, Cassazione e Procura ha messo a nudo le ambiguità di un quadro normativo che ha consentito interventi ad altissima intensità edificatoria senza un piano attuativo vero e proprio.

Per il Mit, il nuovo Codice serve proprio a evitare in futuro contenziosi come quello milanese, fissando in modo più netto quando si può costruire con semplice Scia e quando servono strumenti urbanistici complessi. Per una parte dell’opposizione, invece, la riforma fa l’esatto contrario: “trasforma in norma il modello Milano”, normalizzando proprio quelle scorciatoie che oggi sono oggetto di indagini e sentenze contrastanti.

La polemica si aggancia a un altro tassello: la legge “Salva Milano”, approvata nel 2024 per mettere in sicurezza – secondo i promotori – gli interventi realizzati nel capoluogo lombardo e ridurre il rischio di blocco a catena dei cantieri. Già allora ambientalisti e giuristi avevano denunciato il rischio di un “diritto su misura” per grandi operazioni immobiliari. Oggi vedono nella delega edilizia il passo successivo: l’estensione di quella logica a tutto il territorio nazionale.

Cosa dice il governo: “regole chiare, niente maxi-condoni”

Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini rivendica la riforma come un cambio di marcia atteso da decenni. Con il nuovo Codice, sostiene, l’Italia avrà finalmente regole “più chiare e certe”, in grado di tagliare la burocrazia e prevenire nuovi “casi Milano”.

Al suo fianco, la ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati parla di intervento “concreto” su uno dei nodi strutturali del Paese: la giungla normativa che rende incerti tempi, esiti e responsabilità di chi costruisce o ristruttura.

La linea del Mit è netta: non si tratta di un condono generalizzato, ma di una razionalizzazione complessiva che punta a distinguere meglio fra abusi gravi e situazioni sanabili, a favore – è la tesi del governo – di cittadini e imprese che da anni vivono in un limbo giuridico.

Il fronte favorevole: imprese e proprietari vedono un’occasione

Il giudizio del mondo economico è in larga parte positivo. L’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) definisce il provvedimento un segnale importante di attenzione verso un settore che vale una fetta rilevante del Pil e che è frenato da incertezza regolatoria e tempi biblici.

Per Confedilizia, che rappresenta i proprietari immobiliari, la delega va nella direzione di una “nuova codificazione” della materia, capace di superare stratificazioni normative vecchie anche di mezzo secolo. Una posizione in linea con quella di Confindustria Assoimmobiliare, che da tempo chiede tempi certi nei procedimenti, tutela del legittimo affidamento degli investitori e maggiore flessibilità degli strumenti urbanistici.

Nel mondo finanziario e immobiliare la riforma viene letta come una possibile cura per sbloccare un mercato che soffre di troppa incertezza. Se i decreti attuativi terranno fede alla promessa di stabilità e semplificazione, banche e fondi potrebbero guardare con maggiore fiducia ai progetti di rigenerazione urbana e alle operazioni di riqualificazione del patrimonio esistente.

Il fronte contrario: “golpe contro il territorio” e “delega in bianco”

Dall’altra parte della barricata, le opposizioni alzano i toni. Il co-portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli, parla senza mezzi termini di “golpe contro il territorio”, accusando il governo di voler trasformare l’eccezione in regola: sanatorie coperte dal silenzio-assenso e possibilità di realizzare interventi urbanistici rilevanti con la sola Scia, senza piani attuativi o di lottizzazione.

Per Bonelli, si tratta del via libera alla speculazione edilizia nelle città, con l’ambientalismo ridotto a ostacolo e non a criterio di qualità degli spazi urbani. In alcune dichiarazioni, la riforma viene definita un “nuovo Salva Milano” trasformato in “distruggi Italia”, con il rischio di blindare in legge nazionale un modello basato su deroghe e scorciatoie.

Nel Partito democratico, figure come Roberto Morassut accusano Salvini di voler tenere in mano una “delega in bianco” per riscrivere, a colpi di decreto, le norme fondamentali di urbanistica ed edilizia. L’Italia, è l’accusa, sarebbe spinta ancora una volta verso una logica di perdono ex post degli abusi, invece che verso una pianificazione rigorosa e la tutela del suolo.

Editoriali e commenti su testate critiche parlano apertamente di “cemento e condoni”, sottolineando come, negli ultimi anni, si sia passati dal Salva casa per le piccole difformità al Salva Milano per i grandi interventi, fino a questa nuova delega che abbraccia l’intero sistema.

Il legame con il decreto Salva casa e con le vecchie sanatorie

La riforma non nasce nel vuoto. Negli ultimi anni l’edilizia italiana è stata attraversata da una serie di interventi che hanno progressivamente allargato gli spazi di regolarizzazione.

Il decreto Salva casa del 2024, poi convertito in legge, ha reso più semplice sanare piccole difformità come spostamento di tramezzi, chiusura di verande, ampliamento di balconi e finestre, introducendo nuove soglie di tolleranza e riducendo i casi di “abuso insanabile”.

Ora la delega sul Codice dell’edilizia guarda a una fascia diversa: gli abusi “storici”, spesso legati a un’epoca in cui la pianificazione era debole o inesistente. È proprio questa continuità – dall’irregolarità minuta di un appartamento al grande complesso edificato senza piano attuativo – a far temere a molti osservatori un nuovo ciclo di perdoni a più livelli.

Cosa succede adesso: i 12 mesi decisivi dei decreti

Con l’approvazione della legge delega, si apre la fase più delicata: la scrittura dei decreti legislativi. In quei testi, che il governo dovrà approvare entro dodici mesi, verranno fissati:

  • i limiti concreti della sanatoria per gli abusi storici, con la distinzione fra ciò che è regolarizzabile e ciò che dovrà restare illegittimo;
  • le regole di dettaglio del silenzio-assenso, con eventuali esclusioni per gli interventi più sensibili (centri storici, aree vincolate, zone a rischio idrogeologico);
  • il nuovo perimetro dei poteri di Regioni e Comuni nella pianificazione, e il rapporto tra piani urbanistici e titoli edilizi;
  • la disciplina del modello “Milano”, cioè la possibilità di utilizzare Scia e convenzioni in luogo dei tradizionali piani attuativi, e in quali condizioni.

In Parlamento si preannuncia una battaglia di emendamenti per vincolare meglio la delega, fissare paletti sui condoni, rafforzare le tutele ambientali e chiarire il ruolo degli enti locali. Sindaci e governatori, dal canto loro, vigileranno per evitare di essere ridotti a semplici esecutori di scelte calate dall’alto.

Il bivio è netto: da una parte la possibilità di un Codice dell’edilizia davvero organico, capace di dare certezza del diritto e di favorire una rigenerazione urbana di qualità; dall’altra il rischio di consolidare un modello fondato su deroghe, sanatorie e concentrazione del potere decisionale nelle mani dell’esecutivo centrale.

Perché la riforma riguarda tutti, non solo addetti ai lavori

Al di là dei tecnicismi, questa riforma tocca la vita quotidiana di milioni di persone. Dalle case costruite prima del 1967 con un garage mai accatastato, al condominio con la veranda “creativa”, fino ai nuovi quartieri di grattacieli sorti ai margini delle metropoli: dietro ogni pratica edilizia c’è un pezzo di città e di paesaggio.

Il nuovo Codice dirà se l’Italia sceglierà una strada di rigenerazione urbana guidata, che mette al centro qualità, trasparenza e partecipazione, oppure se continuerà a muoversi per strappi successivi, sanando ex post ciò che non si è riusciti a governare ex ante.

Da oggi, su questo bivio, si apre una partita politica e culturale che andrà ben oltre la scadenza dei 12 mesi. Ed è per questo che lo scontro sul “golpe contro il territorio” o sulla “pace edilizia” non è solo propaganda: è il segnale di quanto l’Italia sia divisa su come vuole costruire – e ricostruire – se stessa.

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