Le regole del nuovo Patto di stabilità sono una mina vagante per i progetti italiani
- di: Redazione
Forse la definizione che più chiarisce quello che il nuovo Patto di Stabilità, proposto dalla Commissione europea e che potrebbe entrare in vigore già dal prossimo anno, ''rischia'' di diventare l'ha data, con la chiarezza che da sempre ne contraddistingue le analisi, Lorenzo Bini Smaghi, secondo il quale si tratta, semplicemente, di un ''un commissariamento della politica di bilancio dei Paesi ad alto debito. In particolare dell’Italia''.
Basandoci sulle proiezioni dei tecnici della Commissione, se le nuove regole del Patto di stabilità dovessero essere totalmente confermate, all'Italia toccherebbe l'impresa di ridurre il debito dello 0,85% del Pil, grosso modo tra 14 e 15 miliardi di euro all'anno, se si concordassero impegni per la riduzione dell'indebitamento nell'arco di quattro anni. Ma c'è un'alternativa, spalmare le misure in sette anni, con un aggiustamento quantificato allo 0,45% del nostro Prodotto interno lordo (che si può tradurre in circa 8 miliardi di euro all'anno).
Le regole del nuovo Patto di stabilità sono una mina vagante per i progetti italiani
Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi, perché tutto è subordinato a come i singoli Stati intendono muoversi, dentro il nuovo Patto di Stabilità, per evitare troppi scossoni ai piani dei rispettivi governi. Ma, quale che sia la soluzione che verrà concordata, essa avrà, come appena detto, ricadute sostanziali per le singole nazioni in difficoltà con il debito pubblico, che saranno probabilmente chiamate a sforbiciare i propri progetti, a cominciare da quelli pensati per favorire la crescita. E nel caso dell'Italia questo comporterebbe per il governo Meloni un profondo ridispiegamento delle risorse, per rispondere a quanto chiesto dall'Ue. I conti sono spietati e richiedono che si ridimensionino progetti che, magari, in campagna elettorale sono stati elevati a promesse e che ora devono fare i conti con risorse insufficienti a dare esecuzione a tutti. E qui significa che al Governo toccherà fare scelte anche dolorose e che tutti facciano siano disposti a fare il classico passo indietro rispetto ai progetti ''identitari''.
Per quanto riguarda specificamente l'Italia e come su di essa impatteranno le nuove regole bisogne avere chiari alcuni numeri. Il nostro Pil, lo scorso anno, è stato pari a 1.909 miliardi di euro. ''Onorare'' la soglia dell'0,85% del taglio significa perdere dalla massa delle risorse circa 16 miliardi. Ma, come dicono a Bruxelles così come nelle capitali dei Paesi che rischiano di più, siamo ancora alla fase iniziale delle discussioni che le cancellerie avranno con la Commissione per la redazione dei relativi piani di rientro e per capire come essi saranno onorati (cioè cosa e dove sacrificare).
Il nuovo scenario è stato accolto con reazioni, ovviamente, non univoche.
Come quella del ministro Giancarlo Giorgetti che, al Corriere, ha detto che il futuribile Patto di stabilità ''impone una rigorosa revisione della spesa, di tutta la spesa, compresi gli investimenti''. E chi doveva intendere speriamo che abbia inteso, e lo diciamo pensando a quante dolorose scelte dovranno essere fatte.
Per Giorgetti, poi, ''la spending review dovrebbe riguardare anche gli investimenti del Pnrr che hanno un impatto sugli obiettivi''. Se Giorgetti, nel commentare, non dimentica il profilo politico del suo incarico, Bino Smaghi, ex consigliere della Banca Centrale Europea, non ha questi ''vincoli'' e afferma, parlando con La Repubblica, che ''la Commissione sostiene che con il nuovo sistema vi è una maggiore titolarità politica dei governi nazionali perché a questi è data facoltà di indicare i percorsi pluriannuali di risanamento. In realtà, questi percorsi dovranno essere coerenti con le traiettorie tecniche fornite dalla Commissione stessa: se il Paese non si adegua viene messo automaticamente in procedura per disavanzo eccessivo. I mercati potrebbero reagire negativamente''. Una situazione che, per l'economista, rischia di complicare il lavoro del ministro dell’Economia quando metterà mano al Def. ''Rischiano di esserci più tensioni tra la Ue e le capitali – in particolare Roma – perché non sono chiari i criteri di valutazione: il pericolo è alimentare il risentimento nei confronti delle istituzioni Ue''.
Ma non è che i nuovi parametri del futuro Piano di stabilità piacciano a tutti i Paese che non hanno problemi di debito pubblico e che quindi potrebbero avere un approccio possibilista. Lo ha fatto capire il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner che ha detto che ''le proposte della Commissione europea non soddisfano ancora le esigenze della Germania", rincarando la dose ribadendo che ''nessuno deve pensare che la Germania accetti automaticamente le proposte. Accetteremo solo regole che consentano un percorso affidabile verso la riduzione del debito e la stabilità delle finanze pubbliche".