Pochi personaggi della storia umana non hanno bisogno di cognomi. L’ammirazione universale li rende superflui. Leonardo, Michelangelo, Raffaello, non aggiungiamo altro. La loro fama è talmente sconfinata che da secoli basta il nome per capire di chi parliamo, come se al mondo fossero esistiti un solo Leonardo, un solo Michelangelo, un solo Raffaello.
Il valore effettivo ed emozionale delle loro opere resta nel mercato dell’arte inarrivabile e infinitamente più alto di tutti gli altri. Pensiamo al Salvator Mundi di Leonardo, acquistato poco più di due anni fa dal Dipartimento di Cultura e Turismo di Abu Dhabi per la cifra di 450 milioni di dollari. Il prezzo più alto che un privato abbia mai sborsato per un’opera d’arte.
Questa vendita strabiliante conferma che con l’arte rinascimentale la difficoltà non è tanto individuare un collezionista disposto a pagare centinaia di milioni di euro per l’acquisto, ma piuttosto ottenere l’attribuzione certa dell’opera, così da rassicurare l’eventuale acquirente, e ovviamente chi lo assicura. Un’operazione, ve lo assicuro, tutt’altro che banale.
Il caso del Salvator Mundi ce lo dimostra. All’indomani della vendita, studiosi come Matthew Landrus, un accademico di Oxford considerato tra i più grandi esperti mondiali dell’opera di Leonardo, hanno messo in dubbio la paternità del dipinto. Molti lo hanno attribuito a Bernardino Luini, primo allievo di Leonardo. Non discutiamo il valore di Luini, ma tra lui e il suo maestro balla un valore di molte centinaia di milioni.
Ma questo sarà l’anno di un altro nome della triade divina. Raffaello. Inevitabilmente, visto che siamo a cinquecento anni esatti dalla sua morte. Le Scuderie del Quirinale, che ospiteranno dal prossimo 5 marzo al 2 giugno la più grande mostra che mai sia stata allestita sulla sua opera, già fanno i conti con la grandezza di tutto ciò che la sua figura e il suo prestigio mettono in moto.
Lo sforzo organizzativo e di investimento delle Scuderie è enorme. Ma ciascuno dei fornitori e dei consulenti ha di fronte un lavoro monumentale. Basti pensare che l’intero mercato degli assicuratori più famosi del mondo, i Lloyd’s riuniti nei Lloyd’s Syndicate che si occupano di arte, raggiunge un massimo di 2 miliardi e mezzo di euro di capacità assuntiva, cioè la somma massima assicurabile per ciascun assicuratore. Una cifra spaventosa, eppure insufficiente a coprire il valore della mostra di Raffaello.
Dunque, il ricorso a mercati diversi dai Lloyd’s è una scelta obbligata al fine di reperire capacità assuntiva presso ogni singola compagnia assicuratrice specializzata nell’arte. Attività, questa, che richiede competenze assolute e conoscenza capillare del mercato assicurativo.
L’avvalersi delle professionalità alpiù alto livello, soprattutto in casi come questo, si rivela pertanto indispensabile, per questo motivo le Scuderie del Quirinale hanno indetto una gara pubblica invitando i broker di comprovata esperienza nel settore dell’arte e selezionando fra questi la PL Ferrari – Lockton, società che, al proprio interno, conta una Divisione fortemente specializzata nel comparto “arte e gioielli”.
Le opere che saranno esposte nella mostra delle Scuderie del Quirinale hanno in diversi casi valori di centinaia di milioni. Ma chi determina l’entità di detti valori? E quali elementi contribuiscono ad accrescerli?
Il primo elemento è intuitivo e si rifà alla classica legge della domanda e dell’offerta. Eppure, gran parte dei lavori presenti in mostra sono vincolati dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Vuol dire che, in forza di un atto ministeriale, le opere vengono dichiarate di particolare interesse culturale e quindi non si possono esportare o vendere senza il consenso preventivo del Ministero, che detiene peraltro il diritto di prelazione in caso di vendita. Qualora una di queste opere fosse ceduta ad un privato, permarrebbe il divieto di esportarla. Inoltre, molte sono di proprietà pubblica, quindi inalienabili come sancito dall’articolo 54 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Ma se è il mercato a decretare il valore di un’opera, come fisseremo il valore di un’opera, pubblica o privata, per definizione “invendibile”, o vendibile solo a certe condizioni?
Cerchiamo di capirlo. Vendere un’opera di tale pregio e rilevanza non vuol dire per forza alienarla. Se ne può ricavare vantaggio economico per altre vie. La galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano, nel 2018, hanno incassato, con la sola vendita di biglietti, più di 20 milioni di euro. Un introito a cui vanno sommati i proventi generati dai servizi aggiuntivi: bookshop, caffetteria, visite riservate, audio guide, tour turistici, biglietti “salta fila”, visite guidate. In più, c’è la ricaduta sul territorio procurata dall’arrivo dei visitatori a beneficio di ristoratori, albergatori, commercianti, merchandising etc.
Quando poi abbiamo di fronte opere considerate icona del museo, i numeri aumentano ancora, spesso vertiginosamente. Pensate a ciò che rappresenta la Gioconda per il Louvre o il David per la Galleria dell’Accademia. Potremmo continuare con le aree archeologiche: il Colosseo per Roma, gli scavi per Pompei, il Partenone per Atene. L’umanità ama mettere tra le proprie esperienze ciò che è immortale e incommensurabilmente bello.
Infine, nessuno può avere certezza assoluta che l’inalienabilità delle opere d’arte di proprietà pubblica duri all’infinto. I lettori ricorderanno di quando, nel 2002, fu creata la Patrimonio dello Stato s.p.a. proprio con obiettivo governativo di alienare i beni dello Stato, società tutt’ora esistente.
Intanto, la mostra di Raffaello già vanta record: i valori più alti mai assicurati per una mostra d’arte, decine di migliaia di biglietti venduti prima che le porte delle Scuderie si aprano al pubblico. Di questi tempi alcune mostre segnano numeri insoddisfacenti. Raffaello ci dice invece che il pubblico vuole esserci. Quando l’offerta ha un livello simile. E quando il protagonista non ha nemmeno bisogno di un cognome.