L’ex presidente vuole riportare i leader mondiali al Doral Resort. L’idea era già naufragata nel 2020 per accuse di conflitto d’interessi. Ora si riaccende la polemica, tra interessi personali e prestigio Usa.
(Foto: fotomontaggio di Trump re).
Un déjà vu presidenziale: il G20 come spot personale
Donald Trump torna a incrociare il proprio destino politico con i suoi interessi immobiliari. Il tycoon starebbe spingendo per ospitare il vertice del G20 del 2026, che si terrà sotto presidenza statunitense, nel suo resort di lusso Trump National Doral, situato alla periferia di Miami. La proposta sarebbe “sul tavolo da diverse settimane”, ha riferito un dirigente della Casa Bianca.
Non è la prima volta che Trump tenta di trasformare un vertice internazionale in un affare di famiglia: già nel 2019 aveva cercato di fare del Doral la sede del G7 del 2020, ma fu costretto a fare marcia indietro dopo una raffica di critiche per il chiaro conflitto d’interessi. Ora però, con il pieno controllo dell’amministrazione, sembra intenzionato a provarci di nuovo, rilanciando un progetto che un tempo suscitò imbarazzo anche tra i suoi alleati repubblicani.
Indizi, cartelli e silenzi: il piano avanza
I primi segnali concreti sono arrivati già a giugno, quando un fotografo ha immortalato un funzionario con un cartello “G20 Miami 2026” all’interno dell’Eisenhower Executive Office Building. Il cartello è stato interpretato come la punta dell’iceberg di un piano che si starebbe consolidando nei corridoi del potere.
“Trump considera Doral il fiore all’occhiello della sua catena”, ha riferito un collaboratore presidenziale. “Vuole mostrare al mondo il ‘suo’ stile di accoglienza americana. E pensa che non ci sia location migliore.”
Quel precedente del G7 e la resa alle critiche
Nel 2019, da presidente in carica, Trump aveva annunciato trionfalmente che il G7 del 2020 si sarebbe svolto proprio a Doral. “È perfetto, ha tutti gli spazi e l’infrastruttura”, aveva detto il 17 ottobre di quell’anno. Ma il sogno durò poco: in meno di 48 ore fu travolto da un’ondata di critiche bipartisan.
“La presidenza non dovrebbe essere usata per arricchire se stessi”, dichiarò Nancy Pelosi. “È una violazione dei principi etici più basilari.” Il 19 ottobre 2019 Trump dovette cedere, comunicando via Twitter la rinuncia al piano.
Ora come allora, con meno freni
Rispetto al 2020, però, l’attuale scenario politico è molto diverso. Trump, oggi al suo secondo mandato, ha epurato l’amministrazione da molte figure critiche e ha posto fedelissimi in ruoli chiave. Il Dipartimento di Giustizia ha cambiato leadership e le commissioni etiche interne sembrano avere uno spazio sempre più limitato.
Non c’è ancora una decisione definitiva, ma “il dossier è considerato prioritario” e lo staff di Trump starebbe valutando anche aspetti legali, di sicurezza e diplomatici legati all’uso di una proprietà privata per un vertice internazionale. Sarà necessario il via libera di Dipartimento di Stato, National Security Council e servizi di intelligence.
I rischi diplomatici: imbarazzo e boicottaggi
Se la proposta dovesse concretizzarsi, si aprirebbero scenari geopolitici delicati. Diversi governi europei avrebbero già espresso perplessità in via informale. “Non è opportuno che un evento multilaterale venga ospitato in un resort privato del presidente in carica”, avrebbe detto una fonte diplomatica francese.
“L’America dovrebbe garantire la neutralità istituzionale, non promuovere i suoi hotel”, ha dichiarato Michael McFaul, ex ambasciatore Usa in Russia.
Doral: il fiore all’occhiello sbiadito
Il resort Trump National Doral, un tempo simbolo dell’impero immobiliare trumpiano, è oggi in una fase di declino. Si stima un calo di oltre il 40% nel fatturato annuale rispetto al 2016. Alcuni analisti ritengono che la mossa di Trump abbia anche un obiettivo economico: rilanciare la struttura sfruttando la visibilità del vertice.
Doral si trova a meno di 30 minuti dall’aeroporto di Miami. Ha già ospitato tornei PGA e dispone di oltre 600 camere, sale conferenze, spa e quattro campi da golf. Ma è anche al centro di polemiche ambientali per l’alto consumo idrico e i trattamenti chimici del verde.
Etica, potere e simboli: cosa dice davvero questa scelta
La scelta di Trump di rilanciare proprio ora il Doral per un evento globale è un gesto altamente simbolico. È il ritorno alla sfida frontale con l’establishment internazionale, la rivendicazione di un potere personale che si sostituisce all’istituzione.
“Il G20 è il momento in cui l’America mostra la sua leadership al mondo”, ha commentato Thomas Wright, analista della Brookings Institution. “Ma se diventa l’ennesima trovata da reality show, il danno di reputazione sarà irreparabile.”
Trump e il confine sempre più sottile
A un anno dall’evento, la battaglia sul luogo del G20 2026 è solo all’inizio. Ma il fatto che si discuta apertamente dell’ipotesi Doral, senza più il freno delle convenzioni etiche che lo costrinsero a ritirarsi nel 2020, dice molto sullo stato della democrazia americana sotto il secondo mandato Trump.
Un presidente che sfida le regole, modella le istituzioni a sua immagine e rilancia l’idea che il potere non sia servizio, ma vetrina.
Un vertice globale in un campo da golf con la scritta “Trump” su ogni cartello? Non è più un’ipotesi folle. È il nuovo standard.