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Schlein rilancia: patrimoniale Ue modello Mamdani

- di: Vittorio Massi
 
Schlein rilancia: patrimoniale Ue modello Mamdani
Schlein rilancia: patrimoniale Ue modello Mamdani
La leader dem apre a una tassa europea sui grandi patrimoni: un segnale politico che rimette al centro disuguaglianze, concorrenza fiscale e regole comuni. Tra ambizione redistributiva, timori di fuga dei capitali e l’eco del “modello Mamdani” nato a New York.

(Foto: Elly Schlein).

La proposta è semplice da dire e complessa da fare: tassare in modo coordinato, a livello europeo, la ricchezza enorme concentrata al vertice. Elly Schlein la rimette sul tavolo indicando la necessità di strumenti comuni, perché i capitali, come ricorda, “viaggiano più veloci delle persone”. L’obiettivo dichiarato è ridurre le disuguaglianze e finanziare beni pubblici – dal clima alla scuola – evitando che ogni Paese combatta da solo una gara al ribasso su aliquote e scappatoie.

Che cos’è il modello Mamdani

L’etichetta viene da New York, dove il nuovo sindaco Zohran Mamdani ha proposto un inasprimento selettivo del prelievo sui più ricchi per finanziare servizi universali (asili, trasporti, case popolari). L’idea, tradotta in chiave Ue, significa armonizzare basi imponibili, soglie alte e aliquote progressive per evitare arbitraggi e paradisi di fatto. In Europa, però, tutto passa da regole condivise e da un registro patrimoniale che renda tracciabili asset e partecipazioni.

Perché ora: disuguaglianze, debiti e transizione

Negli ultimi anni la quota di ricchezza del top 10% è cresciuta, mentre servizi e investimenti pubblici affrontano il nodo delle risorse scarse. Una patrimoniale Ue, calibrata su grandi patrimoni mobiliari e immobiliari, verrebbe presentata come misura straordinaria ma stabile: poco invasiva per la classe media, incisiva sui grandi concentratori di ricchezza, con ripartizione equa degli introiti tra Stati e progetti comuni (energia, innovazione, coesione sociale).

Quanto e su chi: soglie alte, progressività vera

La discussione ruota su tre viti: soglia, aliquota, base imponibile. Una traccia possibile – coerente con il dibattito internazionale – punta a soglie molto elevate (decine di milioni di euro di patrimonio netto), a una aliquota iniziale contenuta ma crescente, e a regole severe su valutazioni, partecipazioni e veicoli. In questo schema, la classe media non viene toccata, mentre i grandi detentori di asset finanziari contribuiscono di più, in modo stabile e coordinato.

Le obiezioni: fuga, doppia imposizione, competitività

Tre le critiche principali. Primo: la fuga dei capitali. Risposta: coordinamento Ue, scambio automatico di informazioni, liste uniche di giurisdizioni non cooperative. Secondo: la doppia imposizione. Antidoto: crediti d’imposta e armonizzazione con Irpef e imposta di bollo. Terzo: la competitività. Replica: legare il gettito a tagli al cuneo per il lavoro e a investimenti produttivi che alzino la crescita potenziale.

A cosa servirebbe il gettito

Qui sta la chiave politica. Un’imposta sul grande patrimonio ha senso se lega ogni euro incassato a obiettivi misurabili: sanità territoriale, scuola, ricerca, trasporto pubblico, case per i giovani, e soprattutto transizione energetica con criteri sociali (bollette e riqualificazione degli edifici). Senza una destinazione trasparente e verificabile, la misura diventa un totem ideologico.

Come si fa davvero: cinque mosse

  • Registro patrimoniale europeo: incrocio di banche dati su immobili, titoli, quote, fondi, cripto-asset.
  • Base imponibile unica: criteri comuni di valutazione per strumenti quotati e non quotati.
  • Aliquote e soglie condivise: progressività reale, esenzioni limitate e mirate (pmi familiari con vincoli su occupazione e investimenti).
  • Cooperazione anti-elusione: norme sulle exit tax e sugli interposti, più controlli su trust e fondazioni.
  • Clausola di destinazione: ripartizione del gettito su progetti Ue con indicatori di risultato pubblici.

Le parole chiave della politica

La proposta non vince se resta un titolo. Serve chiarezza sugli esclusi (classe media e piccoli risparmiatori), garanzie sulle pmi e tempi certi. Nel dibattito, Schlein insiste sulla dimensione europea: “Non bisogna avere paura, ma servono strumenti comuni”, accompagnando il messaggio con l’idea che il fisco sia una leva di giustizia e competitività se sposta il carico dal lavoro ai grandi patrimoni.

Che cosa cambia per l’Italia

Con una misura Ue ben disegnata, l’Italia potrebbe garantire gettito stabile senza comprimere salari e impresa, e cofinanziare investimenti su digitale e energia. Sul piano politico, la sfida è costruire una maggioranza europea, con un accordo tecnico che chiuda le scappatoie e una narrazione concreta su benefici e platea coinvolta. Altrimenti, resteranno solo gli slogan.

Una proposta ambiziosa, fattibile solo con architettura comune, trasparenza e destinazioni vincolate. L’alternativa è continuare a inseguire la ricchezza dove si sposta, senza mai raggiungerla.

 
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