Pensioni giovani: (forse) si cambia musica

- di: Riccardo Zianna
 

Esiste un vocabolo che spesso suona quasi mistico. Una parola lontana, che crea scompiglio in chi la ascolta, paura in chi la vive e aspettativa in chi la sogna. È un termine a cui i ragazzi della mia generazione faticano a far caso, che schivano quasi come fosse una parolaccia detta in Chiesa. Male. Molto male. Attualmente, oltre che vocabolo, parola, termine, è diventata anche un vero e proprio tormentone: pensione.

Limbo. Effettivamente durante gli anni di scuola così come nel triennio/quinquennio accademico, nessuno si prodiga per insegnare a noi giovani l’importanza del sistema pensionistico. Tantomeno veniamo resi partecipi delle difficoltà e dei rischi cui andremo incontro. Probabilmente perchè è molto più mainstream parlare della difficoltà che i laureati italiani hanno nel trovare un lavoro. Basti pensare che, secondo un rapporto di Almalaurea, solo il 42,9% dei Laureati in Italia ha trovato lavoro. Spesso, inoltre, hanno dinnanzi a loro una strada ben più spianata quegli studenti che fortunatamente hanno frequentato università private (che nella maggior parte dei casi risultano essere decisamente onerose). Senza fraintendimenti, non c’è alcun tono polemico in questa considerazione. Semplicemente, forse, un po’ di rammarico nei confronti dell’istruzione pubblica nonché della sua offerta formativa decisamente scadente. Ma questa è un’altra storia.

Di fatto, dunque, una volta terminato il Liceo si finisce nel fantastico macrocosmo dispersivo dell’università e poi, se si rientra nella percentuale sopracitata, si può iniziare a parlare di lavoro. Contratti, contatti, amici, parenti, datori di lavoro, colleghi. Tutti “personaggi” molto molto utili nel nostro cammino. Alla fine del tunnel arriva la tanto attesa pensione che, per dirla in termini oltremodo maccheronici, è quella parte di soldi che ti accompagnerà nella tomba. Brutale, ma sincero. Ebbene di questo tema si parla un po’ troppo poco e le idee si offuscano come un’uggiosa giornata di novembre in Val Padana. Ad oggi, la legge stabilisce che tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 ricevano una pensione sulla base dei contributi che versano. E qui si parla di sistema “contributivo” che, in effetti, non strizza propriamente l’occhio ai giovani di oggi, semplicemente perchè può accadere che, persino chi ha lottato per ottenere un contratto stabile o a tempo indeterminato, non riesca a mettere insieme i contributi sufficienti per accedere alla soglia delle pensioni minime.

È qui che entra in scena la proposta del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Un’idea che sta già facendo il giro dei social e dei sogni di molti under 30 e che sicuramente aiuterebbe ad abbattere l’asticella della disoccupazione giovanile. In sostanza, si parla dell’istituzione di una pensione minima di 650€ al mese per chi è in possesso di 20 anni di contribuzione. A ciò va aggiunto che questo “bonus” potrebbe aumentare di 30€ mensili per ogni anno oltre quei 20 citati fino ad un massimo di 1.000€ al mese totali. Bene. Molto bene. Doveroso, purtroppo, sottolineare come lo stesso Poletti abbia voluto mettere in luce il dato che si riferisce alle domande di accesso all’Ape social (che sostanzialmente è un sussidio di accompagnamento alla pensione). Stando ai dati in suo possesso, il 26% delle domande presentate appartiene alle donne, le quali hanno evidentemente più difficoltà a raggiungere i 30 o i 36 anni di contributi. Tornando alla lieta notizia della proposta del governo, occorre citare il consigliere economico di Palazzo Chigi, Stefano Patriarca, che, durante la sua illustrazione della proposta, ha messo in luce la possibilità di garantire un tasso di sostituzione pari al 65%. Una cifra tutt’altro che deprecabile.

Numeri importanti sono emersi infine dalla decontribuzione rivolta sempre ai giovani. Si vuole puntare a dimezzare i contributi per i prime tre anni di contratto stabile attestandosi così attorno al 15% di contribuzione l’anno. Siccome è stato usato il verbo “dimezzare”, risulta semplice calcolare l’attuale contribuzione annua, che oscilla tra il 30% e il 33%. Postilla da non dimenticare è certamente quella che fa capo al tetto posto a questa manovra, che dovrebbe stanziarsi attorno ai 4.030€.
Quanto costa questa misura? Nella fase di avviamento, sotto ad 1 miliardo, arrivando, una volta a regime, a circa il doppio.

Quanto vale la pena questa misura? Calcolando che solo il 49,5% degli occupati ha dichiarato ad Almalaurea che il proprio corso di Laurea, con conseguente diploma, è risultato effettivamente efficace e che, ad oggi, solo Grecia e Spagna hanno un tasso di disoccupazione peggiore del nostro (11,3%), sì, ne vale decisamente la pena!

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