Parigi 2024: cosa c'entra con l'arte offendere il cristianesimo e i suoi simboli?

- di: Demetrio Rodinò
 
Quando un Paese (qualsiasi Paese) decide di tarpare le ali ad un artista (qualsiasi artista), si avvicina pericolosamente al limite oltre il quale non c'è democrazia e, quindi, tutela dei diritti degli altri, subentrando invece il disprezzo per le sue idee.
Un principio - parliamo del rispetto - che dovrebbe essere alla base dei comportamenti sia del Paese, che dell'artista, ciascuno sapendo che se bisogna salvaguardare il diritto di espressione, altrettanto fondamentale è proteggere la sensibilità anche di chi la pensa diversamente: per convinzione, per conseguenza o per avere il dono della Fede.
Per questo, assistendo alla cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi, pur avendo un moto di repulsione davanti a certe ''libertà'' che la direzione artistica si è concessa, mi sono interrogato sul perché, in questo momento storico, il rispetto verso gli altri sia sacrificato sull'altare di un ''tutto è concesso'' perché non si può reprime l'afflato dell'arte, come essa si concretizzi.

Parigi 2024: cosa c'entra con l'arte offendere il cristianesimo e i suoi simboli?

Ma, per come la penso io, con lo spettacolo di Parigi di arte non si può parlare, perché si è trattato di altro, di qualcosa che è stata pensato e realizzato estremizzando, ritenendo che tutto si potesse dire, fare, mostrare.
Vorrei essere chiaro, sin da subito: non penso che ci siamo trovati davanti a quel che i nazisti chiamavano arte degenerata, sentendosi per questo autorizzati a reprimerla, perseguitandone gli alfieri (perseguitare è anche negare loro il diritto di mettere su una tela, in una scultura, con gli scritti il loro pensiero), distruggendone materialmente le opere.
Di pensiero, nel senso alto della parola, quindi ad un passo dalla filosofia, confesso di averne vista poco.
Ho visto l'esibizione di un passato lontano, l'orgoglio delle macerie su cui è nata la Repubblica, mirabilie tecnologiche e cromatiche; ho visto anche un'artista che, sapendo di non potere sconfiggere la malattia, l'ha voluta sfidare cantando, dalla cima della Tour Eiffel, uno dei più alti esempi dell'amore trasfuso in un pentagramma.

Per il resto il direttore artistico ha deciso che, oltre a sbalordire per i giochi di luci e la grandiosità della location parigina, doveva sorprendere e lo ha fatto pigiando sull'acceleratore della provocazione.
Perché trasfondere la voglia di sorprendere, scegliendo di farlo demolendo la forte significazione simbolica di una delle scene più iconiche per una religione, non è arte.
Può anche essere, spettacolo, ma forse alla fine è solo la ricerca dello shock visivo. Perché decostruire la forza dirompente dell'ultimo evento terreno del Cristo, prima di darsi, da uomo, al carnefice, è solo il frutto di un gusto dell'estremo. Una estremizzazione nemmeno lontanamente temperata dal sospetto che lo stravolgimento di un pensiero - Gesù che divide le sue ultime ore terrene con coloro che porteranno ovunque il suo verbo, una volta conclusasi la sua parabola terrena - possa avere offeso chi, nel figlio di Dio fattosi carne, sangue e sofferenza, crede vedendo in lui il Salvatore.

Chi sedeva al centro della lunga tavola sul ponte che scavalca la Senna non aveva nulla del Cristo, essendo stata scelta una figura estremizzata: grassa, vestita di strass e paillettes, davanti ad una consolle, per alimentare il ballo di una serie di personaggi che, con l'Ultima cena, come simbolo di una religione, poco avevano a che spartire.
Ma, come detto, nulla da dire sulla libertà che si deve riconosce all'artista.
Però mi chiedo se quello cui abbiamo assistito è stato il parto della mente di un artista, che tale deve essere considerato, o l'irrefrenabile voglia di sorprendere, offendendo.
In un mondo multiculturale (e la Francia, da secoli, è tale) si può dire tutto il male possibile di chicchessia, ma senza ''mirare''.
Perché è questo che è accaduto, cercando di trovare nel cristianesimo, e nella remissività che lo distingue, qualcosa da potere mettere alla berlina.
Si può fare? Ma certo che sì. A patto che non ci siano zone franche, che questo ''trattamento'' non sia riservato solo a uno, lasciando indenni gli altri. Crediamo che una scelta ''artistica'' come quella di Parigi 2024 di spettacolizzare l'Ultima Cena sia stata un unicum, perché lo stesso non si farà mai, lo dico solo per un esempio, per l'Islam.

Anche perché, quando qualcuno lo ha fatto (come nel caso delle vignette su Maometto: qualcuno ricorda la strage della redazione di Charlie Hebdo?), la reazione dei terroristi islamici è stata devastante.
Ma nei confronti del Cristianesimo tutto sembra essere concesso, tutto si può fare: ridicolizzare un evento centrale della religione; sporcare la figura del Cristo caricaturizzandola; esibire, davanti a quel Gesù grasso e agghindato come una attrice del burlesque, un Dioniso tinto di azzurro.


Appunto Dioniso che, ha detto il direttore artistico della cerimonia, Thomas Jolly, è stato il vero ispiratore di quella coreografia, anche se il personaggio che, nella rappresentazione, si trovava al posto del Cristo aveva la testa circondata da un'aureola, simbolo che appartiene al cristianesimo, a significare la vicinanza a Dio di coloro che la ''indossavano''.
Le parole che sono arrivate ieri sera da Anne Descamps, direttrice della Comunicazione di Parigi 2024, più che scuse sono state un clamoroso autogol. Perché se dici che ''ovviamente, la nostra intenzione non era di mancare di rispetto a un gruppo religioso, qualunque esso sia. Al contrario, la nostra intenzione era mostrare tolleranza e comunione. Se qualcuno è stato offeso, noi ce ne scusiamo", significa che, solo dopo le forti proteste - in Francia e altrove -, hai capito di avere sbagliato.
La libertà di espressione quindi è salva, ma qui si è andati oltre. Non una semplice figuraccia, ma una maniera maldestra di dire: in Francia tutti possono dire quel che vogliono. Contenti loro...
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