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Paramount sfida Netflix: 108 miliardi per prendersi Warner

- di: Vittorio Massi
 
Paramount sfida Netflix: 108 miliardi per prendersi Warner
Paramount sfida Netflix: 108 miliardi per prendersi Warner
Offerta ostile, fondi del Golfo, Kushner in campo e Trump che promette di essere coinvolto: la battaglia per Warner decide il futuro di Hollywood.

Paramount alza la posta: 108 miliardi e un messaggio a Hollywood

Paramount ha deciso di non restare a guardare. Dopo che Warner Bros Discovery ha scelto Netflix come acquirente per studios e streaming in una maxi-intesa da circa 83 miliardi di dollari, il gruppo guidato da David Ellison è passato al contrattacco con un’operazione ancora più aggressiva: un’offerta ostile da 108 miliardi di dollari per l’intera Warner Bros Discovery, non solo per gli asset che interessano a Netflix.

L’offerta, pari a 30 dollari in contanti per azione, viene portata direttamente agli azionisti e aggira il board di Warner, che finora aveva respinto le proposte di Paramount e favorito il deal con Netflix. È il classico “andiamo dal popolo”, versione Wall Street: se i vertici non vogliono, decideranno gli azionisti.

Il confronto è netto anche sul piano economico. Paramount rivendica di mettere sul tavolo 18 miliardi di dollari in contanti in più rispetto a Netflix e soprattutto di offrire una soluzione più semplice, più rapida e più favorevole sotto il profilo regolatorio, evitando lo spezzatino tra cinema, streaming e canali tradizionali.

Due offerte, due visioni opposte del futuro di Warner e di Hollywood

Il cuore dello scontro è una diversa idea di cosa debba diventare Warner Bros Discovery, casa di HBO, CNN e DC Studios, oltre che di uno dei cataloghi cinematografici più prestigiosi al mondo.

Il piano Netflix, annunciato nei primi giorni di dicembre, prevede un esborso di circa 82–83 miliardi di dollari per acquisire studio cinematografico, produzione televisiva e piattaforme streaming di WBD, lasciando fuori gran parte dei canali via cavo, che verrebbero scorporati in una società separata. L’operazione creerebbe un gigante che somma il dominio nello streaming alla macchina creativa di Warner.

Il piano Paramount, presentato con l’offerta ostile, va nella direzione opposta: niente spezzatino, ma una presa di controllo dell’intero gruppo Warner Bros Discovery, inclusi network come CNN, TNT, TBS e Discovery. L’obiettivo è costruire una superpiattaforma integrata, sommando il portafoglio Paramount al mondo Warner.

In sintesi, Netflix immagina un impero streaming-first, in cui la sala resta accessoria; Paramount punta a una grande casa dei contenuti, in cui streaming e tv lineare coesistono e la sala, almeno sulla carta, mantiene un ruolo più centrale.

I soldi del Golfo e il ruolo di Jared Kushner

Dietro lo slancio di Paramount non ci sono solo i capitali della famiglia Ellison. L’operazione è sostenuta da una squadra di fondi sovrani del Golfo: il Public Investment Fund dell’Arabia Saudita, la Qatar Investment Authority e fondi di Abu Dhabi, oltre al private equity Affinity Partners, guidato da Jared Kushner, genero di Donald Trump.

In una versione iniziale del consorzio figurava anche la cinese Tencent, poi esclusa dopo le perplessità del board di Warner sulla presenza di un socio cinese in una partita così sensibile. Per rassicurare Washington, i fondi sauditi hanno accettato di rinunciare a qualsiasi diritto di governance, inclusi seggi nel cda, a fronte di una partecipazione azionaria senza diritto di voto: capitale sì, controllo no.

La presenza di Kushner aggiunge una dimensione politica: Affinity Partners non porta solo capitali, ma anche relazioni con la galassia trumpiana e con parte dei finanziatori repubblicani, un elemento che in un’operazione di queste dimensioni può pesare anche sul fronte regolatorio.

Trump arbitro non dichiarato della sfida Netflix–Paramount

La Casa Bianca è il convitato di pietra della partita. Il presidente Donald Trump ha già fatto capire di voler avere voce in capitolo sul destino di Warner. Commentando la possibile fusione tra Netflix e Warner, ha spiegato che l’operazione potrebbe essere un problema per via della quota di mercato che il nuovo colosso avrebbe nello streaming e nell’intrattenimento.

Trump ha ricevuto alla Casa Bianca il co-amministratore delegato di Netflix, Ted Sarandos, che ha provato a convincerlo che Netflix non è un monopolio e che l’operazione non danneggerebbe la concorrenza. Nonostante le rassicurazioni, l’amministrazione si è mostrata scettica sull’idea di consegnare a Netflix l’intero arsenale creativo di Warner.

Sul fronte opposto, Paramount può contare sui rapporti fra Trump e Larry Ellison, padre di David e sostenitore di lungo corso del presidente. Ma il rapporto non è lineare: di recente Trump ha attaccato il programma giornalistico “60 Minutes”, legato all’universo Paramount, accusando il gruppo di non essere migliore della vecchia proprietà. Un promemoria che l’appoggio presidenziale non è mai scontato.

Hollywood in trincea: sindacati, registi e sale contro il merger

Se la politica è divisa, Hollywood è quasi compatta nel dire no all’operazione targata Netflix. La Writers Guild of America (WGA) ha diffuso una presa di posizione durissima: l’acquisizione di uno dei principali competitor da parte del più grande player dello streaming è, per il sindacato, ciò che le leggi antitrust dovrebbero evitare. In gioco ci sono posti di lavoro, salari, condizioni di lavoro e varietà dell’offerta.

Non meno allarmata è Cinema United, l’associazione che rappresenta migliaia di schermi cinematografici. Secondo l’organizzazione, il matrimonio Netflix–Warner costituirebbe una minaccia senza precedenti per il business della sala, perché consoliderebbe il potere di una piattaforma che ha costruito il proprio successo su uscite dirette in streaming e finestre molto brevi.

Anche altri sindacati, come SAG-AFTRA e la Directors Guild of America, hanno espresso forti perplessità, chiedendo un esame approfondito dell’impatto sul lavoro creativo, sui compensi e sulla diversità delle produzioni. Il messaggio è chiaro: un’ulteriore concentrazione del potere nelle mani di un solo gigante dello streaming rischia di ridurre opportunità, pluralismo e concorrenza.

Regolatori in allarme: l’ombra dell’antitrust su entrambe le operazioni

La dimensione delle due operazioni rende inevitabile un passaggio lungo e complesso davanti alle autorità antitrust di Stati Uniti, Europa e altri grandi mercati. Negli USA il dossier finirà sul tavolo del Dipartimento di Giustizia, che ha già annunciato un esame approfondito dell’accordo Netflix–Warner e ora della controfferta Paramount.

Netflix sa che la strada è in salita: nel contratto ha inserito una corposa clausola di break-up fee nel caso in cui l’affare venisse bloccato dai regolatori, segnale di quanto la questione sia sensibile. Paramount, dal canto suo, insiste sulla maggiore certezza regolatoria della propria proposta, sostenendo che la combinazione con Warner creerebbe un concorrente forte ma non dominante, in grado di contrastare non solo Netflix, ma anche YouTube, Amazon e Disney.

Tra notifiche, audizioni, eventuali cessioni di asset e possibili ricorsi, l’esito finale potrebbe arrivare solo tra la fine del 2026 e il 2027. Nel frattempo, l’intero settore vive in un limbo che condiziona investimenti, piani industriali e persino il calendario delle uscite in sala e sulle piattaforme.

Perché la battaglia su Warner decide il futuro dello streaming

Il braccio di ferro tra Paramount e Netflix non è solo una questione di orgoglio o di prezzo, ma una svolta di sistema. Chi si prenderà Warner Bros Discovery controllerà:

  • uno dei cataloghi di film e serie più importanti del Novecento e del nuovo millennio;
  • brand globali come HBO, DC e CNN;
  • una pipeline di contenuti originali che alimenta cinema, tv e piattaforme in tutto il mondo.

In un mercato dello streaming saturo, con abbonati sempre più selettivi, la logica è quella della scala: più contenuti esclusivi hai, più puoi alzare i prezzi, trattenere gli utenti e imporre condizioni ai partner.

Se vincesse Netflix, il settore si avvierebbe verso un modello in cui un singolo gigante controlla, di fatto, sia la distribuzione sia una parte enorme della produzione. Se prevalesse Paramount, nascerebbe un conglomerato più simile ai grandi gruppi tradizionali, che unisce tv generalista, canali via cavo, studio cinematografico e streaming in un’unica struttura con potenza globale.

Cosa cambia per spettatori, lavoratori e sale

Per chi guarda film e serie, lo scontro si traduce in una domanda semplice: pagherò di più per vedere meno?. Associazioni di consumatori e sindacati temono che un consolidamento di queste dimensioni porti a:

  • meno concorrenza tra piattaforme e quindi prezzi più alti;
  • meno film in sala, perché i titoli verrebbero trattenuti sulle piattaforme proprietarie;
  • meno varietà di produzioni, con un’offerta più standardizzata e centrata sui franchise globali;
  • maggiore pressione sui lavoratori dell’audiovisivo, tra tagli ai costi e razionalizzazioni.

Paramount prova a posizionarsi come “salvatrice” di Hollywood promettendo di distribuire più di 30 film l’anno nelle sale se la sua offerta andrà in porto, in contrasto con la reputazione di Netflix come piattaforma che privilegia lo streaming. Una promessa interessata, ma che tocca un nervo scoperto: l’ecosistema delle sale, già provato dalla pandemia, non può permettersi un ulteriore svuotamento di titoli e pubblico.

La partita è appena cominciata

Con l’offerta ostile di Paramount, la guerra per Warner entra in una fase apertissima. Il board di Warner dovrà decidere se confermare l’intesa con Netflix, aprire un negoziato con Paramount o usare la concorrenza fra i due pretendenti per ottenere condizioni ancora migliori.

Gli azionisti si trovano davanti a una scelta cruciale: incassare subito un premio più ricco con Paramount o scommettere sulla capacità di Netflix di ottenere il via libera regolatorio e di trasformare Warner in un pezzo centrale del proprio impero streaming.

Qualunque sia il vincitore, Hollywood non sarà più la stessa. La soluzione della contesa Paramount–Netflix su Warner detterà la traiettoria del mercato globale dell’intrattenimento per il prossimo decennio, dai budget delle serie alle finestre delle sale, dal potere contrattuale degli autori al prezzo dell’abbonamento che milioni di persone pagano ogni mese.

Analisi basata su notizie e documenti pubblicati nei primi giorni di dicembre 2025 da agenzie internazionali, media economici e testate specializzate del settore audiovisivo.

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