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Il caso Paragon e gli italiani spiati: una Matrix all’italiana

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il caso Paragon e gli italiani spiati: una Matrix all’italiana

C’è qualcosa di ironico, quasi grottesco, nel fatto che a rivelare a giornalisti e attivisti di essere stati spiati non siano state le istituzioni italiane, né un’inchiesta giornalistica, né una soffiata interna ai servizi segreti. No, a farlo è stata Meta, la multinazionale guidata da Mark Zuckerberg, che attraverso WhatsApp ha avvisato decine di persone nel mondo—e almeno sette in Italia—che i loro telefoni erano stati violati da uno spyware governativo israeliano, Graphite, sviluppato da Paragon Solutions.

Il caso Paragon e gli italiani spiati: una Matrix all’italiana

La lista completa delle vittime non è pubblica, ma alcuni nomi sono emersi subito: Luca Casarini, storico volto del movimento no global e oggi impegnato nei soccorsi ai migranti con la Ong Mediterranea, e Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it. Entrambi hanno ricevuto il fatidico messaggio: “Il tuo telefono è stato compromesso”.

La notizia ha scatenato una reazione politica immediata. Le opposizioni hanno chiesto un’informativa urgente al governo per chiarire se e come le agenzie italiane abbiano avuto accesso a questo software e se vi sia stata una collaborazione con governi esteri nel monitoraggio di giornalisti e attivisti. Al momento, Palazzo Chigi nega ogni coinvolgimento diretto e ha demandato l'indagine all'Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), ma il sospetto rimane.

Graphite: il software invisibile che entra senza permesso

A differenza di altri spyware che richiedono almeno un clic da parte della vittima, Graphite è un zero-click exploit: si installa automaticamente sfruttando una vulnerabilità, senza che l’utente debba aprire un link o scaricare un file sospetto. Una volta dentro, può accedere a tutto: messaggi, chiamate, foto, password, geolocalizzazione in tempo reale. Può perfino attivare il microfono o la fotocamera senza che il proprietario del telefono se ne accorga.

Paragon Solutions, l’azienda che lo produce, è stata fondata dall’ex primo ministro israeliano Ehud Barak e recentemente venduta a un fondo di investimento statunitense per 900 milioni di dollari. Sostiene di vendere il suo software solo a “paesi democratici alleati degli Stati Uniti”, ma sappiamo bene quanto questa definizione sia elastica quando si tratta di cyberspionaggio.

Graphite è stato sviluppato come alternativa a Pegasus, il famigerato spyware della NSO Group, utilizzato negli anni scorsi da governi autoritari e servizi di intelligence occidentali per monitorare giornalisti, oppositori politici e attivisti per i diritti umani. Meta stessa, insieme ad Apple e Amnesty International, ha portato NSO Group in tribunale per le violazioni della privacy causate dall’uso di Pegasus, e oggi sta muovendo azioni simili contro Paragon.

Il funzionamento è simile: il software sfrutta falle nei sistemi operativi mobili o nelle app di messaggistica per penetrare nei dispositivi. Le fonti di infezione possono essere molteplici: file PDF inviati via chat, chiamate perse su WhatsApp, o persino connessioni Wi-Fi compromesse. Il bersaglio non si accorge di nulla, e il dispositivo diventa un microfono aperto 24/7 per chi lo sta monitorando.

Meta avvisa, il governo minimizza
Quando Casarini riceve il messaggio da WhatsApp, inizialmente pensa a una truffa. Poi capisce che è tutto vero: Meta gli consiglia di cambiare telefono, perché lo spyware è così sofisticato da non poter essere rimosso. Per saperne di più, lo indirizza a CitizenLab, il centro di ricerca canadese che da anni indaga sugli spyware governativi.

E così, nel paradosso di questa Matrix all’italiana, l’uomo che negli anni Duemila guidava i Disobbedienti contro la globalizzazione neoliberista si ritrova a dover ringraziare Zuckerberg per avergli rivelato che i servizi segreti lo stavano spiando.

Nel frattempo, il governo ha diffuso una nota ufficiale per escludere qualsiasi coinvolgimento dei servizi italiani nello spionaggio di giornalisti e attivisti. Ma le opposizioni non si accontentano. Giuseppe Conte (M5S), Elly Schlein (PD) e Angelo Bonelli (Verdi-Sinistra) hanno chiesto che il Ministro dell’Interno e quello della Difesa riferiscano in Parlamento. Vogliono sapere se le agenzie di sicurezza italiane abbiano avuto accesso a Graphite, e se vi siano stati scambi con servizi di intelligence stranieri.

Per ora, Palazzo Chigi ha demandato l’indagine all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), che ha confermato di aver individuato almeno sette utenze italiane compromesse. Tuttavia, non è stata comunicata l’identità dei titolari di queste utenze, e non è chiaro se l’Italia abbia acquistato o utilizzato software simili.

Chi decide chi va sorvegliato?
Il punto, come sempre, è politico. Chi decide chi deve essere spiato? Quali sono i criteri per identificare una minaccia?

Lo spionaggio digitale non è un fenomeno nuovo, e negli ultimi anni ha assunto proporzioni sempre più preoccupanti. Nel 2022, il Parlamento Europeo ha avviato un’indagine su come software come Pegasus e Predator siano stati utilizzati da diversi stati membri per sorvegliare giornalisti e oppositori politici. In Grecia, è emerso che l’agenzia di intelligence nazionale spiava leader dell’opposizione e reporter investigativi. In Spagna, il governo ha ammesso di aver usato Pegasus per monitorare esponenti indipendentisti catalani.

In Italia, però, mancano ancora risposte. Se il governo non ha usato Graphite, chi lo ha fatto? E per quale motivo?

Casarini è convinto che l’ossessione per le Ong che salvano i migranti sia parte di una strategia più ampia per criminalizzare la solidarietà. Ma non è il solo a essere stato sorvegliato. Negli ultimi anni, diversi giornalisti italiani hanno denunciato tentativi di intrusione informatica nei loro dispositivi, specialmente quelli che si occupano di migrazioni, criminalità organizzata e inchieste sui fondi neri della politica.

La Matrix italiana.La democrazia sotto sorveglianza?
L’Italia si trova in un limbo. Da un lato, il governo nega il coinvolgimento. Dall’altro, le aziende private statunitensi ci dicono che almeno sette italiani sono stati spiati con un software utilizzato da governi e agenzie di intelligence. Il caso Paragon riaccende il dibattito su uno dei temi più delicati della nostra epoca: il confine tra sicurezza nazionale e sorveglianza indiscriminata. Se da un lato è comprensibile che i governi utilizzino strumenti sofisticati per contrastare minacce reali, dall’altro emerge sempre più chiaramente come questi stessi strumenti vengano impiegati per monitorare giornalisti, attivisti e membri della società civile.

La domanda centrale rimane: chi ha deciso che figure come Luca Casarini e Francesco Cancellato rappresentano un pericolo tale da giustificare un attacco hacker di alto livello? Se il governo italiano nega il coinvolgimento, chi ha autorizzato l'uso di Graphite in Italia?

Il rischio è che si stia consolidando un modello in cui chi svolge il proprio lavoro di informazione o impegno civile debba vivere sotto la costante minaccia di essere spiato. Questo va oltre il singolo caso Paragon: il fenomeno degli spyware di Stato non è più relegato a regimi autoritari, ma è ormai una realtà in Europa, con precedenti inquietanti in Spagna, Grecia, Polonia e Ungheria.

Il governo italiano è chiamato a fare chiarezza, non solo per dissipare i dubbi su un possibile coinvolgimento diretto, ma per garantire che strumenti di questo tipo non vengano usati al di fuori di un quadro di legalità e trasparenza. Le opposizioni chiedono risposte urgenti, mentre gli esperti di cybersicurezza avvertono che il problema è molto più grande di quanto appaia.


Siamo dentro Matrix, e la vera anomalia, questa volta, non è chi spia, ma il fatto che gli spiati se ne siano accorti.

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