La Fondazione Guido Carli, dedicata a un personaggio di
grandissimo spessore che è entrato a pieno titolo tra i più importanti della
storia recente d’Italia (e anche di quella europea), è nata il 6 luglio
del 2017, su impulso dell’Associazione “Guido e Maria Carli”, ente no profit,
apolitico, attivo in Italia dall’11 novembre 2010.
Abbiamo intervistato il presidente, Romana Liuzzo.
Presidente Liuzzo, sia l’Associazione che la Fondazione sono
state fortemente volute da lei, che è nipote di Guido Carli. Quali sono gli
scopi della Fondazione, da lei presieduta, quali le iniziative più
significative? Tre anni sono pochi, ma può fare un primo bilancio dell’attività
finora svolta? E quali prospettive future intravede?
"La Fondazione nasce per raccogliere l’eredità morale e
culturale di Guido Carli. Grande economista, ex ministro del Tesoro ed ex
presidente di Confindustria, uno degli artefici dell’ingresso del nostro Paese
nella moneta unica europea. È stato lui a contribuire in maniera determinante
al Trattato di Maastricht negli anni in cui ha guidato il dicastero di Via XX
Settembre. Per me è stato più semplicemente il nonno, che mi ha cresciuto
insieme alla nonna Maria, poetessa e creatrice di gioielli. Gli insegnamenti di
Carli, i suoi principi etici e morali sono stati alla base della mia
formazione. E sono gli stessi che hanno ispirato la nascita dell’Associazione
nel 2010 e poi, dal 2017, della Fondazione che mi onoro di presiedere. Nel 2019
abbiamo celebrato il decennale, sono stati dieci anni intensi. Densi di
iniziative culturali, culminate ogni mese di maggio nella cerimonia di
assegnazione del Premio Guido Carli dedicato alle eccellenze italiane nel
mondo. Ma soprattutto segnati da una serie di progetti di impegno sociale: una
campagna contro il bullismo, un centralino anti violenza per le donne maltrattate,
e ora, in tempi di Coronavirus, una campagna televisiva a favore della
Protezione Civile".
Ecco, appunto. Il Premio annuale ‘Guido Carli’ è il momento
clou dei lavori della Fondazione. Un appuntamento di grande importanza e
prestigio. In tale quadro, il ‘file rouge’ di molte delle iniziative della
Fondazione, a cominciare proprio dal Premio, è il tema ‘Etica ed economia’. “È
il tempo - lei ha affermato a questo proposito - dell’impresa ‘responsabile’ e
del consumatore ‘consapevole’. Del codice etico che affianca la logica del
profitto, che garantisce esso stesso all’imprenditore ulteriori utili”. Può
spiegarci più in dettaglio questa scelta e come è stata accolta dal mondo
economico e sociale italiano? In altre parole, c’è consapevolezza dell’importanza
del legame tra etica ed economia sia a livello di ceti dirigenti, sia più in
generale a livello di Paese?
"È un connubio, quello tra etica ed economia, al quale
abbiamo dedicato attenzione e studi soprattutto nell’ultimo anno di attività
della Fondazione. E che ha portato nel novembre 2019 al convegno organizzato
alla Borsa di Milano, alla presenza del gotha del management,
dell’imprenditoria, del sistema bancario e del giornalismo italiano. Un
percorso nato dopo un incontro che mi ha cambiato la vita con il Santo Padre in
cui parlammo dell’esigenza di comprendere quali siano le strade percorribili
per raggiungere modelli di economia “eticamente compatibili”. Capaci cioè di
tener conto delle regole non scritte dell’onestà, della lealtà,
dell’imparzialità, dell’equità, del rispetto dell’ambiente. Riteniamo possibile
- e lo abbiamo dimostrato in quella occasione di confronto, alla presenza del
presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati - conciliare la logica
del profitto, più che legittima, col bisogno di una economia più umana. Negli
Stati Uniti il tema è stato ritenuto di così stringente attualità, perfino
urgenza, che 181 amministratori delegati di altrettante multinazionali hanno
affrontato la questione stipulando un patto, lo scorso agosto. Il patto tra
etica e logica del profitto. Lo hanno fatto perché consapevoli ormai del fatto
che seguendo una condotta etica i margini degli utili aumentano: il mercato ha
modificato le proprie aspettative e il consumatore è sempre più attento a quel
che acquista, a come e da chi è stato prodotto un determinato bene. A
differenza degli Stati Uniti, in Italia non si è forse raggiunta la medesima
consapevolezza. Ma molti passi avanti sono stati compiuti. I clienti e i
consumatori prediligono sempre più un’azienda che lavori a basso impatto
ambientale o rispettando i diritti fondamentali degli acquirenti e dei
lavoratori piuttosto che altre vincolate alla sola logica del profitto".
Il lascito culturale, umano, di impegno e passione civile di
Guido Carli è immenso e ha segnato nel secondo dopoguerra la storia d’Italia.
Governatore di Bankitalia per 15 anni (e non solo, perché è stato il ministro
del Tesoro che siglò il Trattato di Maastricht e il Presidente di
Confindustria, solo per restare ad alcuni dei suoi prestigiosi incarichi), ha
mostrato sempre con chiarezza la sua fiducia nell’Italia ma anche i suoi timori
sul Paese. Quali sono, a suo avviso, i tratti salienti di questo lascito? Quali
i punti che restano più attuali?
"Parto da un anno che segna, se vogliamo, l’apice del
successo politico ed economico di Guido Carli. Era il 1999, si completava un
processo iniziato anni prima, nel 1992, con la firma del Trattato di
Maastricht. Un passaggio storico decisivo, in cui ha trovato compimento il
testamento morale, civile, spirituale dello statista Carli, indubbiamente tra i
protagonisti di un cinquantennio di storia politica ed economica di questo
Paese. A buon titolo, il ministro del Tesoro che ha siglato quel Trattato è
considerato uno dei padri dell’Unione europea. Governatore di Bankitalia,
presidente di Confindustria, senatore, la lezione di Carli è un monito che oggi
si rivela quanto mai attuale: bisogna procedere con tenacia, determinazione,
convinzione. Le stesse profuse allora da mio nonno per completare la costruzione
della casa europea. Resta attuale la visione di uno Stato e di un’Unione
europea libera dai vincoli della burocrazia e dalle strette del rigorismo
economico".
Come detto, lei è la nipote di Guido Carli. Quali sono i
suoi ricordi personali che le vengono a mente quando pensa a lui? Che tipo di
nonno era?
"Era un uomo all’antica ma moderno. Un nonno che non mi ha
insegnato nulla a parole, tutto con l’esempio. La sera quando tornava stanco
dai suoi lunghi viaggi mi “convocava” in camera e io mi accoccolavo ai piedi
del suo letto. Ricordo la sua grande sete di sapere. Leggeva Lev Tolstoj in
lingua orginale e quando morì il 23 aprile del ’93 stava studiando l’unica
lingua che ancora non conosceva: il cinese".
Guido Carli e l’Europa. Qual era la sua visione europea, che
tipo di Europa sognava, con quali caratteri distintivi? Quale, a suo parere, la
sua opera perché l’Italia fosse protagonista della costruzione di un’Unione
europea sempre più integrata e prospera?
"La casa europea, lo sapevamo in passato e ancor più appare
evidente oggi, è quanto mai incompleta, instabile, incompiuta, deficitaria. Non
è questa l’Europa che Carli ha sognato di costruire. Ma mio nonno non si è mai
arreso".
«Ognuno vale tanto quanto le cose cui dà importanza», mi
diceva spesso citando Marco Aurelio. Ritengo che sia inevitabile, di fronte al
mutamento della storia alla quale stiamo assistendo, non pensare a un’altra
Europa. Ben diversa dall’istituzione algida che perfino in queste settimane
drammatiche per il nostro Paese, ha rischiato di voltarci le spalle. Anche
Bruxelles si è dotata - di fronte alla catastrofe della pandemia - di un
“bazooka” finanziario che speriamo possa far fronte almeno alle emergenze delle
migliaia di aziende già in crisi e dei lavoratori che hanno perso il loro
posto. L’Europa alla costruzione della quale Guido Carli ha contribuito è
solidale coi popoli che la compongono, è vicina alle esigenze e ai bisogni
degli ultimi. E Dio solo sa quanto nei prossimi mesi i più deboli e indifesi
andranno sostenuti, superando ogni vincolo, allentando ogni maglia stretta in
questi anni dalla politica del rigore. No, l’Unione europea di Carli non può
essere questa rete di nodi e burocrazia nella quale il cittadino europeo si
ritrova. L’auspicio è che la ricostruzione che ci attende possa favorire
l’apertura di una fase nuova anche e soprattutto sul fronte europeo.
Una domanda impossibile, ce ne rendiamo conto. Ma, se Carli
fosse ancora vivo e guardasse all’Italia di oggi, quale sarebbe la sua
reazione? Prevarrebbe in lui lo sconforto nel verificare che tanti di quei
‘lacci e lacciuoli’ che lui denunciava come un limite per la crescita del Paese
sono ancora intatti, o troverebbe motivi di speranza e ottimismo per il nostro
futuro?
Inevitabile pensare alla situazione drammatica che proprio
sotto il profilo economico e sociale il Paese è chiamato ad affrontare.
L’emergenza sanitaria e la glaciazione industriale e commerciale che ne è
seguita porta a interrogarsi su come Guido Carli avrebbe reagito. Quale strada
avrebbe indicato dall’alto della sua competenza ma anche della sua umanità? La
risposta è semplice: la via del coraggio, della determinazione e quella che
porta meglio di altre a raggiungere e aiutare i più bisognosi, i più deboli,
quelli che Papa Francesco ha definito gli “scarti” di una umanità distorta. La
cultura dello “scarto” finisce con avere la meglio. L’Europa che conosciamo
sarà da ricostruire su nuove fondamenta dopo lo shock che stiamo vivendo. Ma
potrà farlo, ripeto, solo su basi nuove, su principi etici e morali, prima
ancora che finanziari e contabili. Quelli che hanno ispirato la vita e l’azione
di Guido Carli, nel suo tentativo di superare ogni diseguaglianza sociale. Sarà
la scommessa del nostro futuro più immediato. «La vita non è aspettare che
passi la tempesta ma imparare a ballare sotto la pioggia». Gandhi docet.
Se dovesse spiegare in poche parole a una classe di giovani
studenti delle scuole superiori perché è importante conoscere e studiare la
figura di Guido Carli, cosa direbbe a quei ragazzi?
Racconterei loro che Carli è stato uomo dai principi
intangibili, dall’etica e dalla morale forse d’altri tempi, ma ancora
attualissime, capace di guardare alle cose e risolvere i problemi con gli occhi
del cuore. L’economista e uomo di Stato, il ministro del Tesoro che ha condotto
l’Italia per mano nell’euro. Un umanista, amante della letteratura prima che
delle finanze, al quale “questo Paese deve molto”, come ha ricordato il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nell’incontro che mi ha concesso
proprio un anno fa in occasione dell’anniversario e alla vigilia del decennale
del Premio. È su statisti come Guido Carli che pongono le loro fondamenta la
democrazia e il sistema economico italiano ed europeo. Mi sembra un motivo
valido per approfondirne la conoscenza e rinnovarne la memoria”.
Una riflessione finale di sintesi sul perché, a 27 anni
dalla morte, in molti interventi e analisi emerge costantemente una nostalgia
per Guido Carli, che nell’immaginario collettivo resta un punto di riferimento
del Paese. Quali, per citare Einaudi, le sue ‘prediche inutili’ che, se
ascoltate, avrebbero permesso al Paese di essere oggi più sviluppato e moderno?
Rispondo citando una descrizione che amo molto. Quella fatta
dall’allora governatore di Bankitalia Mario Draghi, era il 2009, in occasione
della presentazione degli scritti di Carli all’Accademia dei Lincei. Lo definì
“un innovatore”. Capace di innovare politiche, metodi di lavoro, bilanci,
prassi di comunicazione delle istituzioni che guidò nell’arco di decenni.
Proprio come Luigi Einaudi, che aveva conosciuto da giovane e con il quale
aveva collaborato, Carli agì per fare in modo che nel Paese si mantenesse uno
spazio per l’innovazione. Come Einaudi vedeva nell’innovazione di prodotti, di
idee, di modi di agire, l’essenza e il motore stesso della libertà. Un uomo
della tradizione, insomma, ma non della conservazione dello status quo. Se
quello spirito votato al cambiamento avesse ispirato maggiormente le scelte e
le politiche, economiche e non solo, di chi ha amministrato la cosa pubblica,
forse la storia italiana avrebbe viaggiato a un’altra velocità e raggiunto
altri obiettivi. Ma non è mai troppo tardi per farlo.