Caso MPS: "Profumo lasci Leonardo", la sospetta solerzia dei 5S

 
La condanna di Alessandro Profumo, nell'ambito del processo di Milano, per aggiotaggio e false comunicazioni sociali ha aperto due fronti. Uno squisitamente giudiziario (con il collegio di difesa di Profumo che ha annunciato che impugnerà la sentenza, non appena ne conoscerà le motivazioni), l'altro politico, con quest'ultimo destinato a tenere desta l'attenzione sul futuro di Leonardo.

Profumo, nella qualità di ex presidente della banca Monte dei Paschi di Siena, insieme all'allora amministratore delegato, Fabrizio Viola, è stato condannato a sei anni di reclusione (con pene accessorie, quali multe e interdizioni varie). Con la stessa sentenza, l'ex presidente del collegio sindacale di MPS, Paolo Salvadori, è stato condannato a tre anni e mezzo di reclusione, per il solo reato di false comunicazioni sociali.

A questa sentenza ha fatto immediata eco la richiesta del Movimento Cinque Stelle (che ha scelto come strumento di comunicazione per la sua durissima presa di posizione non la dichiarazione di un suo esponente, ma un semplice tweet) che ha sollecitato le immediate dimissioni di Profumo dalla presidenza di Leonardo. Una richiesta che sembra essere stata ''sparata'' sul momento e non invece, per come ci si aspetterebbe da un partito (forse è il caso di smetterla di chiamarlo Movimento, visto quali sono i comportamenti di chi comanda), ponderata magari alla luce di una visione complessiva della vicenda che non può essere liquidata con risibili considerazioni di (presunto) merito.

Innanzitutto, il quadro accusatorio, sulla base del quale il tribunale di Milano non solo ha deciso la condanna, ma l'ha quantificata con una lunga pena, non era e e lo è ancora oggi, a sentenza emessa, molto chiaro. Al punto che la stessa procura aveva chiesto l'assoluzione degli imputati, ammettendo di trovare ''estrema difficoltà'' a ravvisare gli estremi di un reato. Ora, non è certo frequente il caso che, in udienza, le tesi di accusa pubblica e difesa si trovino sulla stessa linea. Ma tant'è e però non è bastato per convincere il tribunale ad assolvere Profumo e gli altri. Nonostante il fatto che gli ex vertici di MPS sono stati assolti perché il fatto non sussiste in relazione alle medesime accuse formulate in ordine agli anni 2013 e 2014, mentre per il 2012 è stata rilevata la sopraggiunta prescrizione.

Un insieme di accuse che, con il tempo e con il procedere dell'istruttoria dibattimentale, hanno perso di consistenza, ma non sino al punto da convincere il tribunale che, dopo un camera di consiglio protrattasi per quattro ore (relativamente poco, vista la complessità dei fatti di causa), ha emesso una sentenza di condanna. Tra l'altro le accuse sono relative a derivati, Alexandria e Santorini, sottoscritti dal Monte dei Paschi con Deutsche Bank e Nomura nell'epoca in cui a presiedere MPS era Giuseppe Mussari.

Tutto questo - ovvero, la difficoltà di avere certezze in ordine alle accuse, evidente persino alla pubblica accusa - non è bastato ai Cinque Stelle per essere prudenti, tanto che la richiesta di dimissioni di Alessandro Profumo dal vertice di Leonardo è arrivata con velocità persino sospetta. Quasi che, nel circolo dei potenti tra i pentastellati, circoli già il nome di un sostituto e che questo ''mister X'' sia una costola del movimento.

''Ci aspettiamo - hanno tuonato i 5S nel loro tweet - che Alessandro Profumo, nell'interesse dell'azienda, rimetta il mandato da ad di Leonardo''. Con tanti cari saluti al garantismo e del fatto che, in Italia, sussiste la presunzione di innocenza sino a che non si pronunci anche la Cassazione. Perché, al di là del fatto che la difesa di Profumo ha già detto che ricorrerà in appello e che MPS e Leonardo agiscono in campi lontani, appare intempestivo, anzi proprio sospetto chiedere, a distanza di pochissimo tempo dalla lettura della sentenza, la testa di qualcuno che, per la stessa procura, non doveva essere condannato.

Profumo alla testa di Leonardo, a detta di molti, sta lavorando bene e le accuse che gli sono state mosse da presidente di MPS appaiono, ieri come oggi, poco sostanziate da una precisa volontà di delinquere. Il dolo, appunto, che nel processo è stato talmente arduo da individuare da spingere il pm a rendere nota questa difficoltà, affermazione che non si sente certo con frequenza nelle aule di giustizia da parte della pubblica accusa.

Ma la fregola giustizialista spesso conduce ad errori di tattica, quali quelli in cui si può incorrere a festeggiare anzitempo una condanna piuttosto che sapere su quali basi essa poggi.
Va da sé che il tribunale motiverà, con la necessaria chiarezza, il cammino logico che lo ha portato all'emissione di un verdetto di condanna. Ma un conto è un processo, che si celebra in un'aula, un altro è esultare per una sentenza aspettando l'esecuzione della condanna. Come le tricoteuses che, all'apprendere di una condanna a morte, si mettevano agli angoli della piazza dove si ergeva la ghigliottina, e tra una testa mozzata e l'altra, continuavano a sferruzzare allegramente.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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