Silvio Berlusconi, protagonista controverso di un trentennio del Paese
- di: Diego Minuti
Con Silvio Berlusconi - deceduto questa mattina, al San Raffaele di Milano, dopo era ricoverato da qualche giorno per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, a causa di una leucemia - ne va un pezzo della storia politica italiana, lo si voglia o no. Berlusconi ha costituito, sin dalla sua ''discesa in campo'' nel 1994, un elemento divisivo, perché, al di là di una generica appartenenza al campo liberale, la sua irruzione sullo scenario italiano ha rimescolato le carte, sottolineando l'enorme potere delle televisioni e come, su di esso, si poteva costruire un modello di comunicazione convincente e soprattutto vincente, come dimostrato dalla folgorante affermazione alle elezioni politiche di quasi trent'anni fa.
Silvio Berlusconi, protagonista controverso di un trentennio del Paese
Nel bene e nel male, Berlusconi è rimasto sempre sul palcoscenico della politica, anche quando, per effetto dell'applicazione della legge Severino per una condanna per reati fiscali, decadde da senatore. Un'onta per lui che, sorretto da una autostima difficilmente quantificabile, per ampiezza e profondità, ha sempre rifiutato di potere essere giudicato per fatti e circostanze anche evidenti, quasi che tutto dovesse essergli concesso o perdonato, essendo lui, semplicemente, il migliore: come imprenditore, come statista, come tombeur de femmes, come presidente di un club calcistico che ha collezionato successi e trofei.
Ma se l'uomo Berlusconi è stato censurabile, soprattutto quanto ha colpevolmente dimenticato gli obblighi derivati dal suo ruolo istituzionale, il Berlusconi politico è stato l'elemento che ha scardinato la vecchia liturgia partitica, imponendo un suo peculiare modello, in cui tutto era lui e da lui derivava.
E' stato il primo a sdoganare il concetto di partito personale, dicendo che Berlusconi era Forza Italia, ma soprattutto che Forza Italia era Berlusconi. Uno schema che si è trascinato per anni, ingenerando considerazioni anche sul perché personalità eminenti del Paese abbiano accettato di essere subalterni ad un uomo che, come tale, viveva di pulsioni, di sentimenti, di antipatie, di vizi privati, senza molte pubbliche virtù, se non quelle che erano più funzionali ai suoi progetti.
Presentandosi come il campione del liberismo, Silvio Berlusconi ebbe il merito di capire che gli italiani, alla perenne ricerca di un uomo cui ispirarsi o da ammirare, avevano bisogno di un modello pubblico rivoluzionario, di un imprenditore fattosi politico e che, della sua esperienza professionale, portava in dote tanti successi (con qualche dubbio mostrato dai suoi avversari, soprattutto sui suoi primi passi nel mondo degli affari), seppure non sempre esenti da sospetti e critiche.
Poi, per strano che possa apparire, Berlusconi seppe capitalizzare al massimo alcuni profili del ''maschio italico'', gaudente e amante del bello - soprattutto se declinato al femminile -, sempre capace di fare presa nell'immaginario di chi ha degli stereotipi nei quali cercare di identificarsi. Per la gente, quella che poi lo votò, anche se non capendone bene il messaggio politico, Berlusconi era l'uomo delle televisioni, quello che portava in casa degli italiani un prodotto di intrattenimento anche scollacciato, ma senza alcun costo per l'utente, se non quello di vedere i programmi interrotti dalla pubblicità, cosa all'epoca impensabile, ma che, lentamente, fu assorbita, magari sopportata, ma alla fine accettata.
E quell'uomo sorridente, formidabile affabulatore (capace di parlare, in campagna elettorale, per ore davanti a folle entusiaste, ricordando nomi, date, circostanze con i quali infiorettare i suoi lunghissimi monologhi) conquistò quella parte d'Italia che non si riconosceva nella Sinistra e che guardava a lui come al segno della Provvidenza. L'uomo che prometteva, come facevano tutti, ma che, grazie anche all'incombente presenza sugli schermi televisivi, era più convincente. Presentandosi, via via, come l'imprenditore di successo, ma che aveva cominciato dal nulla, oppure da uomo dalle mille esperienze di lavoro (''Un presidente operaio per cambiare l'Italia'': chi non ricorda i giganteschi manifesti con questo slogan con cui tappezzò il paese?), Berlusconi conquistò la porzione di italiani sufficiente a mandarlo a Palazzo Chigi.
Da quel momento Silvio Berlusconi ha interpretato il ruolo che si era disegnato addosso: il salvatore della Patria, almeno della sua.
Da quel momento, suo malgrado, il Paese ha spesso vissuto all'ombra di un imprenditore illuminato nella stessa misura in cui era spregiudicato, non mancando mai di sottolineare la sua auto-attribuita superiorità rispetto a tutti gli altri, partendo dall'assioma che il successo negli affari lo accreditava a ergersi a demiurgo della rinascita del Paese, quel ''miracolo italiano'' di cui si fece ispiratore e possibile realizzatore.
In politica Berlusconi ebbe comunque grandi meriti, figli della sua esperienza di una attività professionale in cui, se non puoi distruggere il nemico, lo devi blandire per indebolirlo. Lui ci riuscì, soprattutto quando allargò la sua personale platea, imbarcando nella maggioranza quella Destra che, sino a quel momento, era trattata spesso come una stampella e basta.
Ma quella scelta, certamente utilitaristica, ha spianato la strada a quel bipolarismo che sembrava dimenticato con il progressivo inaridimento della Sinistra post-comunista. E se Giorgia Meloni - esponente della Destra ''ortodossa'', quindi non filiazione del Centro liberale - è arrivata a fare il presidente del Consiglio lo deve a Berlusconi e a lui soltanto. Anche in campo internazionale, Berlusconi ha avuto i suoi momenti d'oro, spesso celebrati da laudatori di professione, ma resi possibili da contingenze in cui lui, come uomo di Stato italiano, c'entrava poco nulla. Ma, da maestro della comunicazione, ha sempre saputo farsene merito, probabilmente molto oltre la realtà.
La sua personalità - se ne facciano una ragione i suoi avversari - ha impregnato l'ultimo trentennio della vita politica del Paese, scandendo i tempi di una evoluzione in senso liberale di una Destra estrema che, solo pagando questo pegno, ha potuto, come si diceva un tempo, ''sdoganarsi'' come credibile forza di governo. Quindi, grandi risultati in politica, meno nella vita privata, in cui la sua esuberanza ha spesso oscurato il buono che pure ha fatto fuori dalle segrete stanze.
Se oggi Mediaset è quel che è lo si deve solo a lui e alla scuola nella quale ha fatto crescere i figli, a cominciare da Marina e Piersilvio. C'è stato poi un angolo di buio nei comportamenti privati che ha gettato sconcertanti ombre su di lui, e di questo ha pagato un prezzo altissimo, senza però mai mostrare pentimento o rimorso, forse sottovalutando che, quando si sale, come lui ha fatto, nel punto politico più alto di un Paese, si deve rinunciare alla vita privata, anche se questo è un prezzo pesantissimo da pagare. Lui non lo ha fatto, con le conseguenze (morali, politiche, giudiziarie) che ne sono seguite.
La morte di Silvio Berlusconi chiude una pagina della storia recente del Paese che non si può cancellare, anche se si pensa di lui il peggio possibile. Lui, il ''caimano'' di Nanni Moretti, lo ''psiconano'' di Beppe Grillo, ''l'innominabile'' di Marco Travaglio, possa piacere o no, è stato un protagonista e solo il futuro ci dirà per quanto tempo ancora.