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Addio ad Alvaro Vitali, l’eterno Pierino del cinema italiano. “Voleva solo tornare a casa”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Addio ad Alvaro Vitali, l’eterno Pierino del cinema italiano. “Voleva solo tornare a casa”
Alvaro Vitali è morto a 75 anni. L’attore simbolo della commedia sexy all’italiana si è spento dopo un lungo ricovero per una recidiva di broncopolmonite. Le sue condizioni si erano aggravate nei giorni scorsi, ma lui aveva espresso un solo desiderio: uscire dall’ospedale. “Ha firmato per essere dimesso, voleva tornare a casa”, ha raccontato la moglie Stefania Corona. Nelle ultime ore, accanto a lui, c’erano solo i familiari e pochi amici stretti. Era malato da tempo, ma nessuno pensava che la fine potesse arrivare così in fretta. Chi gli è stato vicino racconta di un uomo stanco, ma lucido, che non ha mai smesso di scherzare, neanche quando il respiro cominciava a mancare.

Addio ad Alvaro Vitali, l’eterno Pierino del cinema italiano. “Voleva solo tornare a casa”

Vitali era diventato un’icona nazionale negli anni Settanta e Ottanta grazie al personaggio di Pierino: il ragazzino irriverente, volgare ma irresistibile, capace di scardinare con una pernacchia ogni autorità. Era la maschera di un’Italia che rideva anche della propria miseria, che si riconosceva nella scuola autoritaria e nel doposcuola in bianco e nero. I film con Vitali – spesso stroncati dalla critica, ma campioni d’incasso – hanno segnato un’epoca. Lino Banfi, appena appresa la notizia della morte, ha ammesso: “Mi ferirono le sue parole, ma sono scioccato”. Un riferimento a una frattura mai del tutto sanata tra i due, legata a vecchie incomprensioni e rivalità artistiche.

Un attore vero, spesso dimenticato

Dietro la risata facile, c’era un attore autentico. Alvaro Vitali aveva iniziato con Fellini – piccolo ruolo in “Satyricon”, comparsa in “Amarcord” – prima di diventare la star del cinema popolare. Nonostante il successo, non ha mai avuto accesso al pantheon ufficiale della cultura italiana. Per anni è stato trattato come un fenomeno di costume, una nota di colore, mai come un artista. Lui stesso ne soffriva. In molte interviste aveva raccontato l’amarezza di sentirsi “cancellato” da quel mondo che pure lo aveva reso celebre. “Non mi invitano più in tv, come se mi vergognassero”, aveva detto. Ma il suo pubblico non l’ha mai dimenticato: i fan lo fermavano per strada, gli chiedevano una battuta, un sorriso, una foto con la linguaccia.

La fine in silenzio, dopo una vita sopra le righe


Negli ultimi anni aveva ridotto le apparizioni, ma senza mai smettere di lavorare. Qualche spettacolo in provincia, qualche partecipazione televisiva, una lunga battaglia per tenere vivo il ricordo di un genere e di una stagione che la cultura ufficiale ha preferito dimenticare. La sua morte arriva in un momento in cui il cinema italiano sta ripensando la propria memoria collettiva, e il volto di Vitali – con quel ghigno infantile e rabbioso – torna a dire qualcosa di profondo su chi siamo stati. La commedia sexy era spesso grezza, sessista, discutibile. Ma era anche un grido di libertà, una forma di resistenza popolare contro la retorica del decoro.

Un’eredità difficile da raccontare, ma impossibile da ignorare


Ora che se n’è andato, resta il compito di rileggere la sua figura con onestà. Vitali non fu solo una caricatura: fu un interprete di un’Italia marginale, urlata, volgare ma vera. Un’Italia che rideva per non piangere, che si rifugiava in battute sconce per dimenticare la fatica del vivere. La sua morte chiude una stagione, ma apre forse una riflessione più matura sul valore di una comicità che non chiedeva il permesso. Stefania Corona, al suo fianco fino all’ultimo, ha detto solo una frase: “Voleva tornare a casa. Adesso ci è riuscito”.
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